Ricordare il Gherush
Oggi in tutto il mondo ebraico inizia una giornata di digiuno in ricordo di alcuni tra gli eventi più tragici accaduti al popolo ebraico. Ricordiamo tra gli altri: la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la successiva deportazione a opera dei Romani, eternata dalle immagini scolpite sull’arco di Tito accaduta duemila anni or sono; il Gherush, cioè la Cacciata degli ebrei dalla Spagna e da tutti i territori sotto il dominio spagnolo avvenuta cinque secoli fa, dopo oltre circa duecento anni di persecuzioni e conversioni coatte perpetrate dall’inquisizione cattolica.
Qualcuno ha anche proposto di inserire in questa triste lista la Shoah – la distruzione delle Comunità europee durante il secondo conflitto mondiale – ma altri hanno preferito dedicare a quest’ultimo e più recente evento una giornata particolare nel calendario ebraico.
In effetti, mentre all’Olocausto viene dedicato nella memoria collettiva ebraica e non ebraica uno spazio particolare – ed è tuttora in corso un percorso di riflessioni e pentimento per quanto è stato perpetrato contro cittadini inermi – nulla è stato fatto per quanto riguarda il Gherush, la Cacciata.
Questo evento ha interessato molto da vicino l’Italia in quanto tutto il Meridione si trovava sotto il dominio spagnolo e a tappe successive gli ebrei sono stati espulsi prima dalla Sicilia e dalla Sardegna, poi via via dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Basilicata, dalla Campania e dal Molise. Si trattava di cittadini che vivevano da secoli in quelle regioni e che, dopo secoli di convivenza, si sono trovati improvvisamente non cittadini di seconda categoria, ma costretti ad abbandonare da un giorno all’altro i propri amici non ebrei, i propri averi e le case in cui avevano vissuto accanto ad altri cittadini, per lo più cattolici.
Per riempire questo vuoto della memoria per un’ingiustizia con cui non sono stati fatti i conti, è stato di recente proposto ai Governatori delle regioni del Meridione di istituire ogni anno una giornata di studio in ricordo dell’ultima cacciata delle famiglie italo ebraiche dal Meridione d’Italia.
La data scelta – il 31 ottobre – evoca quella del 31 ottobre 1541, quando a firma di Carlo V un numero ancora incerto di decine di migliaia di ebrei italiani è stata costretta a espatriare “con le chiavi di casa in tasca” dai confini del Vicereame spagnolo, ossia dall’intera Italia Meridionale. Per non dimorarvi più. Di certo non come ebreo. Un esodo imponente, anticipato da molti eventi e soprattutto proprio dell’Editto di Isabella di Castiglia del 31 marzo 1492, che imponeva l’espulsione da tutti i territori governati dai re di Spagna, Isabella e Ferdinando. La data ultima entro cui gli ebrei dovevano lasciare i territori spagnoli era il 9 di Av del 1492, il cui ricordo come dicevo cade proprio stasera nel calendario ebraico.
Perché ora questa proposta di legge? Anzitutto per due evidenze.
La prima. Gli espulsi erano cittadini italiani per diritto naturale. Come erano anche cittadini spagnoli. Ben lo sa il governo di Madrid che intende restituire, a titolo di tardivo risarcimento, il passaporto a qualunque discendente degli espulsi del 1492 che possa provarlo. Ma se la Spagna ha molto da farsi perdonare, l’Italia del Sud, spagnola per costrizione, non le è da meno, considerato che l’allontanamento di tali genti ha provocato gravi danni al patrimonio culturale economico e sociale delle regioni italiche meridionali.
La seconda ragione è di ordine scientifico. La legge può spingere ad esplorare nuovi territori dello storico, dell’archeologia, della ricerca. E la pur ricca produzione internazionale accademica di tali eventi può riversarsi nelle Scuole, nelle Accademie e nelle Università Statali, sui giornali, fra i giovani e i ragazzi, per descrivere fatti e personaggi nazionali, europei e mediterranei.
Non si chiede il ricordo di una nuova Giornata della Memoria della Storia del Meridione. Bensì lo studio rigoroso delle cause sociali e delle mentalità, nascoste dietro il Gherush, la cacciata dall’Italia Meridionale di migliaia di uomini donne e bambini, con le loro storie intrecciate per secoli alle storie di tutti gli altri: questo può abbattere i pregiudizi e i fanatismi che in ogni epoca hanno macchiato – e macchiano ancora oggi – la pacifica convivenza tra comunità e culture diverse negli Stati.
La proposta di legge – già fatta propria dalla Giunta del Consiglio Regionale della Campania e speriamo possa essere approvata anche da altre Regioni – nasce infatti dalla convinzione che soprattutto la mancanza della conoscenza storica rinnova minacce e ostilità feroci tra le comunità e le persone.
Persone che vengono definite “diverse” solo per convenzioni culturali ed anche per costruire il nemico da combattere, ma restano di fatto Eguali nella comune Umanità razionale e spirituale.
Può essere interessante andare a studiare cosa avvenne dopo quel tragico 9 di Av del 1492: gli ebrei costretti ad abbandonare i territori spagnoli non si dettero per vinti e andarono a creare nuove Comunità, alcune in Italia – come Livorno, Ancona, Venezia – altre nei paesi del Mediterraneo, lungo la costa africana, la Turchia e soprattutto la Terra d’Israele.
È proprio in Israele – e precisamente nella Galilea – che si sviluppa il movimento spirituale e mistico della Kabbalà e il primo tentativo di ricostruire lo Stato ebraico: la catastrofe della Cacciata doveva pur significare che qualcosa di importante e di misterioso doveva accadere e del quale l’uomo doveva essere parte principale e attiva. Negli anni che seguono l’Espulsione Dona Grazia Mendez – ebrea marrana, cioè costretta a vivere in maniera nascosta il proprio ebraismo – dà l’avvio alla ripopolazione nella Galilea delle città di Safed e Tiberiade, e pone le basi per la creazione dello Stato ebraico. Grazia Mendez dà l’avvio a una florida economia che spinse molti abitanti dei paesi confinanti – Siria e Libano in particolare – a stabilirsi in Galilea. Questo progetto ambizioso – la ricostituzione di uno Stato ebraico dopo circa 1.500 anni dalla deportazione di Tito – avrebbe dovuto aspettare ancora altri cinquecento anni per essere realizzato – con la dichiarazione delle Nazioni Unite del 1947. Ma le premesse erano state già messe da una donna “marrana” che, passata attraverso le conversioni forzate, era infine tornata a vivere in maniera manifesta il proprio ebraismo.
Costretti più volte nel corso della Storia ad abbandonare le proprie case, gli ebrei non si adagiarono mai nella posizione di profughi, ma cercarono di superare le difficoltà e di ricostruire la propria vita nei paesi che li accolsero. Un destino comune con i molti italiani che, costretti per motivi economici ad abbandonare soprattutto il Meridione, hanno ricostruito la propria vita altrove in paesi accoglienti e, quando hanno potuto e voluto, sono poi tornati in Italia. Come recita la canzone napoletana “Ma quando spunta ‘a luna, lontano ‘a Napoli non se può sta’”.
Così gli ebrei cacciati ed espulsi dal paese in cui vivevano, quando alla fine hanno potuto, sono tornati nella terra che li aveva visti crescere come popolo: secondo quanto dice il salmista “Se ti dimenticherò Gerusalemme, sia dimenticata la mia destra”.
Scialom Bahbout, rabbino
(5 agosto 2014)