yahud…

Grosseto è una delle città che fanno parte, per via adottiva, del mio dna familiare. E sulle colline sopra Grosseto ho trascorso buona parte della mia infanzia e quando posso porto i miei figli a godere di una passeggiata nella “macchia”, verso il castello del Sassoforte, Montemassi e Roccatederighi. Altra tappa delle nostre vacanze è la discesa nella città vecchia, in piazza Dante, in una Grosseto antica e signora. Una Grosseto dove la mia (nostra) kippà non ha mai creato nessun problema, anzi spesso i “cittini” con tzittzit e kippot erano accolti con sorrisi persino dal panettiere di Sassofortino tempestato dalle nostre domande ed esigenze. Ma questo fino a ieri. Perché ieri a Grosseto ho avuto paura. Per la prima volta nella mia vita. Una paura ebraica nonostante sia nato e vissuto a Napoli, poi a Parigi, poi a Milano, passando per la Cantabria, la Sicilia, la Calabria, la Puglia… avendo sempre in testa la mia kippà, insieme con i miei tre figli maschi. Ma ieri a Grosseto una famiglia di immigrati del Maghreb ci ha additato, dandosi gomitate e puntando un intollerante indice al nostre essere sfacciatamente “yahud”. Ho paura mia cara Italia. Ho paura perché ho preferito accelerare il passo terminando la nostra passeggiata nella mia Grosseto. Ho paura per quell’indice che indicava il yahud di turno come un fastidioso intruso, una problematica presenza, un elemento da mandare via. Ho paura Italia mia perché per la prima volta nella mia vita, sul suolo della mia millenaria identità e personale formazione mi sono sentito yahud. Solo e soltanto yahud. E a nulla sarebbero valse le mie generazioni italiane e le mie parentele grossetane. Ero yahud. Un yahud che stringeva forte la mano dei suoi bambini inconsapevoli. Un yahud che grazie al poco arabo che conosce ha imparato nuove parolacce. Nella sua Grosseto, nella sua Italia, ignara del filo sottile al quale sono appese le nostre libertà.
E se libertà, cherut in ebraico, è vicina alla parola charut, incisa, dobbiamo renderci conto che in Europa le granitiche tavole dei diritti di ogni uomo rischiano di essere di sale e sabbia del Deserto. Del Maghreb.

Pierpaolo pinhas Punturello, rabbino

(8 agosto 2014)