Time out – La retorica terzomondista
Vittime di una certa retorica terzomondista nelle università e nelle scuole si è finito per insegnare che l’Occidente doveva smettere di credere al mito della sua superiorità e cominciare a rispettare le culture e le istituzioni politiche del resto del mondo. Naturalmente era una convinzione errata e non ci voleva certo l’Isis per comprenderlo. Il modello liberale di stampo occidentale ha dimostrato con il tempo di funzionare meglio, seppur con tutte le sue ambiguità e gli errori che lo hanno caratterizzato. Con questo non si rivendica una superiorità di valori, ma semplicemente che le istituzioni politiche occidentali siano l’esempio di un modello riuscito e da imitare. Un libro di qualche anno fa spiega come la prosperità delle nazioni non dipenda dalla cultura, dalla religione o dal territorio, ma che siano le istituzioni politiche di un paese a garantire crescita e sviluppo nel tempo. Non si spiegherebbe perché alcune nazioni confinanti possano, pur avendo culture comuni, avere uno sviluppo economico così differente. Questa è la storia delle due Coree, così come di Gaza e Israele. E di questa differenza e, se vogliamo anche di superiorità, non possiamo avere paura. Senza attribuirci colpe che non abbiamo dobbiamo avere il coraggio di spiegare che il caos politico o l’arretratezza economica dipendano esclusivamente dalla scelta di non aderire al modello politico occidentale. Così è per l’Iraq in preda ai terroristi, così per la Turchia che con le scelte integraliste di Erdogan ha smesso di crescere rispetto al passato e così è per Gaza la cui situazione economica non dipende certo da Israele. Per questo il relativismo politico è pericoloso, perché finisce per legittimare le brutalità che avvengono all’interno degli Stati non democratici. E allora perché vergognarci di fornire un modello che il tempo ha dimostrato funzionare? Serve coraggio per spiegare che il rispetto per le culture di ogni paese non preclude la nascita di società democratiche, ma altrimenti ci vorrà ancora più coraggio a sostenere che ciò che avviene ai cristiani in Iraq, per esempio, non è affar nostro perché avviene fuori dai confini nazionali.
Daniel Funaro
(14 agosto 2014)