…diversità
Nel mondo cresce l’illusione di poter fare da soli. Siamo tutti fortemente allarmati per l’espandersi del cosiddetto califfato in quel che rimane dell’Iraq, dove gli islamisti sunniti credono di poter costruire una civiltà senza cristiani (e possibilmente senza sciiti e senza curdi). Ma siamo certi che altrove non si lavori nella stessa prospettiva? Da Gaza i jihadisti continuano a sparare missili su Israele, convinti esplicitamente della possibilità di fare una Palestina senza ebrei. Nel medesimo tempo in Israele c’è chi pensa che si possa realmente avere un’Israele senza palestinesi. In Italia, sempre più spesso, c’è chi è certissimo che si possa fare senza gli immigrati che vengono a lavorare nei nostri campi e nelle nostre fabbriche. Il lavoro, le case popolari? Prima ai veneti! E c’è chi addirittura chiede un’anacronistica “indipendenza”: sempre in Veneto, ma anche in Scozia, in Catalogna, all’est dell’Ucraina ecc. ecc. L’obiettivo, in teoria, è sempre lo stesso: fare da soli, da soli è meglio, l’altro è un terribile impiccio con cui è preferibile non avere a che fare. Beh, ho una notizia per tutti gli alfieri di queste teorie: vi sbagliate, e di grosso. La presenza dell’altro, del diverso da te, è sempre stata una risorsa e non un freno. Qualcuno ha parlato di specchio necessario: senza una diversità a disposizione, quella che si pensa normalità manca di termine di paragone e virtualmente non esiste, scompare, si dissolve. Sul piano politico l’Europa sembra comprendere in linea puramente formale e teorica questa dinamica e si è data forme di governo adeguate proprio per fornire risposte alla necessità di integrazione e di accettazione delle diversità, degli altri. Purtroppo il progetto è rimasto fermo, le politiche comunitarie sulle questioni dell’integrazione sono ampiamente deficitarie (si pensi alle divergenze sul che fare con i poveri immigrati di Lampedusa) e di fronte alle attuali emergenze geopolitiche denuncia tutta la sua fragilità operativa. Non è un caso che a muoversi (con incertezza e contraddizioni, per carità) nella crisi irachena siano stati di nuovo gli Stati Uniti, che sono nati e si sono costruiti sul confronto (e sullo scontro) fra gruppi diversi. Ma se l’Europa vuole darsi un futuro credibile, non può più permettersi le attuali incertezze, soprattutto tenendo conto del tema centrale della salvaguardia delle identità altre: deve dotarsi di una forza integrata di intervento rapido e di una diplomazia univoca e coerente. Se, al contrario, Francia, Germania e Gran Bretagna pensano veramente di poter agire in maniera divergente o in competizione in tema di gestione delle crisi umanitarie o militari, allora tutto il progetto europeo va rivisto e derubricato a una pura e semplice unione di interessi economici, peraltro tutti da verificare. O l’Europa capisce, ora, con un grappolo di emergenze che rischia seriamente di sfuggire di mano (Iraq, Gaza, Libia, Mali, Nigeria, Ucraina, Iran… a qualcuno viene in mente altro?) che è venuto il momento di darsi una diplomazia unica e una forza militare coordinata, oppure il suo sogno è destinato ad usurarsi rapidamente, e saranno guai per tutti noi.
Gadi Luzzato Voghera, storico
(15 agosto 2014)