Yazidi
Il mio primo incontro virtuale con gli yazidi era avvenuto all’università in occasione dell’esame di filologia semitica, in cui dovevo studiare un testo siriaco che descriveva i loro miti, a partire dalla creazione del mondo (un racconto curioso che sembrava quasi una parodia della Genesi); il siriaco suonava molto familiare (22 lettere chiamate alef, bet, ghimel, dalet…; aramaico, la lingua del Talmud ma anche di testi che sentiamo fin da piccoli come Ha lakhmà e Had gadià, o il Kaddish), ma non so se sia davvero la lingua degli yazidi o se fosse semplicemente la lingua in cui era scritto il testo da studiare; e soprattutto non credo che il testo (che mi pare di ricordare fosse stato composto da un missionario dell’inizio del XX secolo, quindi da un testimone esterno, forse non adeguatamente informato e presumibilmente ricco di pregiudizi) rispecchiasse fedelmente le credenze degli yazidi. Insomma, anche dopo aver dato l’esame gli yazidi rimanevano per me sconosciuti e misteriosi, ma almeno avevo l’orgoglio di essere tra i pochi che non ignoravano la loro esistenza. Da allora non ne avevo più sentito parlare fino a una settimana fa, di fronte alle notizie terribili della persecuzione a cui sono sottoposti.
Una minoranza che persiste per secoli con la propria religione e le proprie usanze, nonostante continue e sanguinose persecuzioni; una minoranza oggetto di disprezzo e di pregiudizi; una minoranza che pratica una religione diversa da quella della maggioranza ma con elementi simili: “diversi” che fanno paura forse proprio perché non sono poi così tanto diversi. Persone a cui viene imposto di abiurare per salvarsi la vita e spesso scelgono di essere fedeli alla propria identità costi quel che costi. Ci sono molte ragioni oggi per rafforzare l’impressione di vicinanza che avevo provato al tempo del mio esame. Ma c’è anche una differenza sostanziale: degli ebrei si parla troppo (spesso a sproposito), degli yazidi troppo poco; si dà un’attenzione sproporzionatamente alta al conflitto israelo-palestinese, sproporzionatamente bassa al massacro degli yazidi. I toni non troppo accesi da parte dell’occidente cristiano circa la persecuzione dei cristiani si possono forse spiegare (anche se non giustificare) con il desiderio di evitare le guerre di religione e con il timore per i brutti ricordi che suscitano; la scarsa attenzione dedicata agli yazidi fa ancora più rabbia perché è totalmente immotivata. E in questa rabbia impotente verso un’attenzione occidentale distorta – per il troppo silenzio come per le troppe chiacchiere – si rafforza l’impressione di vicinanza.
Anna Segre, insegnante
(15 agosto 2014)