Oltremare – Dopoguerra
E improvvisamente non siamo più incollati ai telegiornali che si rincorrono nelle staffette di giornalisti e commentatori a ripetizione, servizi dal confine, sirene in diretta, senza più orari né inizio né fine. Improvvisamente arrivano anche i turisti, quelli che si sono decisi all’ultimo e quelli che avevano già deciso da settimane di partire lo stesso per questa destinazione in sé paradisiaca, diventata per una estate un luogo di guerra, reportage terrorizzanti, immagini che vorremmo il cervello dimenticasse presto.
Non si può dire che le spiagge siano piene come in un ferragosto qualunque, ma l’ultimo shabbat al tempio telavivese degli italiani tripolini non c’era quasi un posto libero e lo sfoggio di abbronzature era quello classico della Tel Aviv d’estate. Sono arrivati anche i francesi, e anzi, pare che loro non abbiano mai smesso di atterrare, almeno a giudicare dalla percentuale francofona che sciabatta in infradito per la città.
Il porto al nord di Tel Aviv nel weekend era un tappeto brulicante di famiglie colorate e bambini scalzi sul legno a onde che imita le dune che una volta erano la forma di tutto qui, orizzonte e mare a parte. A ogni aereo che passava tutti alzavano distrattamente la testa, e solo per un attimo il pensiero era, probabilmente: oh, guarda, un aereo non da guerra.
Sarebbe questo, il ritorno alla normalità. Non fosse che la pace ancora non c’è, e che ci tocca adesso difenderci da accuse di crimini di guerra e non conta nulla quante volte ci ricordiamo che siamo l’esercito più etico del mondo. Siamo comunque un esercito, e un esercito ammazza, distrugge, gli altri e un po’ se stesso ogni volta che entra in azione. Ma anche i tribunali sono segno che siamo dopoguerra. E speriamo di esserci davvero, anche dopo mezzanotte allo scadere del cessate il fuoco.
Daniela Fubini, Tel Aviv twitter @d_fubini
(18 agosto 2014)