Frontiere certe
Montenegro, Croazia, Serbia. Tre Paesi in poche ore. Voli frequenti, una frontiera passata in auto con un po’ di coda ma nessuna formalità particolare (più o meno come passare dall’Italia alla Svizzera). Facile ricordare che venticinque anni fa qui era tutta Jugoslavia, più difficile pensare che vent’anni fa questa frontiera era un fronte di guerra, anche se non manca qualche traccia qua e là (come i sottomarini che si incontrano andando in canoa lungo la costa). Difficile immaginare che i miei coetanei forse vent’anni fa combattevano, difficile domandarsi cosa può aver fatto e cosa può aver visto il tassista che mi porta all’aeroporto, o quel cameriere così gentile, o quel papà premuroso che fa entrare cautamente in mare i suoi bambini. Una guerra sanguinosa scoppiata improvvisamente nel cuore dell’Europa, una guerra di cui non si parla più, che sembra dimenticata.
Mi spiegano che, contrariamente alle apparenze, gli odi non sono affatto sopiti. Non sono sopiti i ricordi delle atrocità di vent’anni fa, e neppure di quelle commesse durante la seconda guerra mondiale: i croati non dimenticano l’assedio di Dubrovnik, i serbi non dimenticano gli Ustascia.
Ma oggi almeno ci sono frontiere certe e nessuno spara più.
Se israeliani e palestinesi arrivassero a questo punto non sarebbe certo la perfezione (nessuno è così ingenuo da pensarlo) ma non sarebbe già un bel passo avanti?
Anna Segre, insegnante
(22 agosto 2014)