Storie – Il Male non banale

mario avaglianoA mezzo secolo dalla pubblicazione del libro di Hannah Arendt “La banalità del male” un saggio importante mette in discussione le tesi della studiosa tedesca naturalizzata americana, che nel 1961 seguì per la rivista New Yorker il processo in Israele al criminale di guerra nazista, condannato a morte e impiccato l’anno dopo.
Il saggio, uscito la scorsa settimana negli Stati Uniti, è firmato dalla filosofa tedesca Bettina Stangneth e s’intitola “Eichmann prima di Gerusalemme. La vita non verificata di un assassino di massa” e ribalta la rappresentazione di Eichmann come un burocrate che si limitava ad eseguire gli ordini.
L’Eichmann ritratto dalla Stangneth con l’ausilio di ricerche in 30 archivi internazionali e della consultazione di migliaia di documenti, è infatti un nazista fanatico e cinico, che agì con incondizionato impegno per difendere la purezza del sangue tedesco dalla “contaminazione ebraica”, e poi tentò di occultare le prove del suo pieno coinvolgimento, fingendo di essere solo un piccolo ingranaggio della potente e terribile macchina della Shoah di Adolf Hitler.
Allora la Arendt prese un abbaglio? La testi della Stangneth è che la studiosa tedesca, morta nel 1975, fu ingannata dalla performance quasi teatrale di Eichmann al processo.
Tra i dettagli inediti svelati dal libro balza agli occhi la lettera aperta scritta nel 1956 da Eichmann al cancelliere tedesco occidentale, Konrad Adenauer, per proporre di tornare in patria per essere processato e informare i giovani tedeschi su ciò che era realmente accaduto sotto Hitler, e la riluttanza dei funzionari dell’intelligence della Germania Ovest – che sapevano dove si trovava Eichmann già nel 1952 – ad assicurare lui e altri ex gerarchi nazisti alla giustizia.

Mario Avagliano

(9 settembre 2014)