…cultura

Vorrei provare a discutere una certa l’idea di boicottaggio che si va affermando qui da noi. Si tratta di una versione per lo più figlia di un’estremizzazione del principio che diversi anni fa funzionò per mettere alle strette il regime di apartheid in Sudafrica. Va detto che di principio non manca di un suo fondamento politico: l’equazione cioè per cui a un’ingiusta occupazione dei territori palestinesi si deve rispondere con un metodo non-violento, e cioè andando a colpire gli interessi dello stato di Israele nel mondo. Tuttavia, per come viene proposta a me sembra una pratica piena zeppa di difetti e contraddizioni, che in più sembra nascondere una volontà finale di colpire l’esistenza stessa di Israele e della sua società, combattendola con ogni mezzo, anche e soprattutto con quello culturale. La prima domanda da porsi è: a chi giova e chi viene danneggiato? Giova alla risoluzione dei problemi della quotidianità palestinese, e aiuta a gettare le basi per la costruzione di un percorso di convivenza in Israele-Palestina? Vediamo un po’: per questo mese è stata lanciata un’azione di disturbo di iniziative culturali che vedono la partecipazione di artisti israeliani.
Si tratta delle esibizioni di un corpo di danza, del noto contrabbassista Avishai Cohen e della cantante Noa. Soprattutto contro il secondo si preannuncia per oggi un’azione di protesta in quanto l’evento è sponsorizzato dall’ambasciata di Israele. Ripropongo la domanda: qual è il senso politico di boicottare un concerto jazz? A chi giova, e che modello propone? Personalmente non ho dubbi: chi impedisce lo svolgersi di un concerto, o di uno spettacolo di danza, non si comporta in modo diverso da chi brucia libri. Chi lo fa va alla ricerca di una visibilità che non riesce ad ottenere in altro modo perché manca sostanzialmente di un progetto politico credibile. Colpire le espressioni culturali di una società significa volerne negare esplicitamente il diritto ad esistere, e quindi in maniera più o meno esplicita significa contribuire a rendere impossibile una prospettiva di pace. Si aggiunga una novità che comincia a farsi strada nella retorica di chi pubblicizza queste azioni di disturbo; l’idea cioè che la riflessione sulla Shoah nasconda in realtà un’operazione che supporta Israele nel suo disegno di oppressione dei palestinesi. Citazione letterale dal volantino che inneggia al boicottaggio del corpo di danza Kibbutz Contemporary Dance Company: “il tema dello spettacolo Aide Memoire è lo sterminio degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale, una tragedia che i sionisti spesso strumentalizzano per giustificare l’esistenza di Israele e i suoi crimini”. Una motivazione che apre vere e proprie praterie all’antisemitismo contemporaneo, proponendo una versione politica militante, semplificata e ruspante delle (peraltro abbondantemente discutibili e discusse) tesi storiografiche di Ilan Pappe sull’ipotetica “collaborazione” dei vertici del sionismo allo sterminio dell’ebraismo europeo. Eppure la società italiana sembra chiedere altro. Fra due giorni ci saranno le numerosissime manifestazioni della Giornata Europea della Cultura Ebraica, e in esse anche il contributo della cultura israeliana è presente e guardato con curiosità e interesse. È chiara ai più l’idea che è la cultura e l’incontro fra culture a spianare la strada per la pace, e non la negazione della cultura come prodotto di una società oppressiva. Che nella fattispecie della società israeliana è due volte dannoso: primo perché questa produce espressioni (nella musica, nel teatro, nella danza, nella letteratura, nel cinema, nella ricerca scientifica ecc.) che contribuiscono visibilmente a perpetrare nella contemporaneità quel grande patrimonio di storia e tradizione che è rappresentato dalla cultura ebraica tout court. E secondo perché (si pensi alla cantante Noa, ad esempio, autrice di una bellissima lettera contro gli estremismi di tutte le parti durante il recente conflitto di Gaza) in genere le espressioni più note e di successo di questa produzione si esprimono in maniera esplicita per un futuro di convivenza e non di conflitto con la realtà palestinese.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(12 settembre 2014)