Di frume Kats

Francesco Moisés BassanoUn racconto di Itskhok L. Peretz dal titolo “Di frume Kats” (il pio gatto) – pubblicato recentemente in “il tempo del messia e altri racconti” (Edizioni Storia e Letteratura, 2014) – narra di come un bel gatto bianco riesca a giustificare ed “elevare”, attraverso profonde riflessioni morali e talmudiche, la crudele uccisione di tre indifesi canarini presenti nella propria abitazione, preservando così sia la propria devozione che il proprio naturale sadismo. Peretz con questo racconto esprimeva la propria condanna a quell’ipocrisia e a quel fanatismo, che si riscontra talvolta in certe manifestazioni religiose o ideologiche, che sarebbero invero, nei loro fondamenti, costituite sui più nobili propositi e principi.
In parte è anche a causa di “gatti” simili – non tanto gatti, creature che amo immensamente, ma individui– che al giorno d’oggi, in un mondo sempre più proteso verso l’ateismo e un fondante nihilismo, perdono di significato per molte persone, un determinato credo o un intero sistema di valori, percepiti allora come oscurantistici, dogmatici e limitativi della propria inviolabile libertà individuale. A sua volta, come tentativo di resistenza al “moderno”, molti culti cedono sovente il posto, o “abbandonano il campo” (detto alla David Foster Wallace), al fondamentalismo, alle lotte politiche interne ed esterne, o ad interessi strettamente utilitaristici e personali, allontanandosi in tal modo dal loro vero fine, che è l’uomo o D-o. Nel nome di questi, continuano infatti ad essere commessi e legittimati i più aberranti crimini e violazioni contro l’umanità stessa. Tanto da far pensare seguendo questa logica, che tutto sarebbe forse migliore, se venissero meno credenze o ideali collettivi sulla strada di una completa secolarizzazione, così che mancherebbe all’uomo una maschera, una giustificazione, alle proprie azioni malvagie. Se non che, niente escluderebbe certamente che il gatto di Peretz mangerebbe ugualmente i canarini, così come dimostra la favola di Esopo del lupo e dell’agnellino, poiché, al di là della loro umana “razionalità”, ciò è comunque intrinseco della loro natura di animali. Analogamente il male nell’uomo, è spesso più inconsapevole e banale, e non ha sempre bisogno di motivarsi con buoni propositi o di correre dietro a qualcosa di “nobile” o “finalistico” per potersi compiere.
Un articolo dell’Economist dal titolo “It ain’t half hot here, mum”, per esempio, esponeva come alla base dell’arruolamento di alcuni cittadini europei tra le file dell’IS, non ci fosse soltanto e in qualunque caso un ottenebramento religioso o situazioni di emarginazione, ma quanto probabilmente anche un’insoddisfazione, una noia esistenziale, che spingerebbe gli stessi ad abbandonare le “troppo” tranquille città del Nord Europa per gettarsi ciecamente nel Jihad, immaginata ai loro occhi, grazie alla pubblicità sui social-networks islamici, come un’avventura ricca di adrenalina ed esperienze. Il tutto dunque in linea, con un’incessante ed estenuante desiderio/ricerca di nuovi stimoli e sensazioni, di una propria collocazione, di uno scopo per la propria esistenza o di fama, che è caratteristica dell’uomo del nostro secolo, e che non di rado assume tratti cinici ed inquietanti…

Francesco Moise Bassano

(12 settembre 2014)