futuro…
Una volta raggiunta la stabilità politica ed economica, cioè una volta raggiunta la terra di Israele dopo il peregrinare nel deserto l’ebreo avrebbe dovuto raccogliere in un cesto le proprie primizie e avrebbe dovuto offrirle a Dio salendo verso il Beit HaMikdash (Deut.26-29,8). La formula rituale che accompagnava questa offerta era semplice, diretta e storicamente onesta: “Un arameo nomade era mio padre. Egli se ne andò in Egitto e vi abitò con pochi uomini; là divenne una grande nazione, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci perseguitarono e ci afflissero e ci sottomisero ad una dura schiavitù. Allora noi gridammo al Signore Dio dei nostri padri ed Egli ascoltò la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro travaglio e la nostra oppressione. Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, con grande spavento con prodigi e con miracoli e ci condusse in questo luogo e ci dette questa terra stillante latte e miele. Ecco io ho portato ora le primizie dei frutti della terra che Tu hai concesso a me, o Signore”. L’ebreo arrivato nella terra di Israele non voltava le spalle al suo passato e non lo negava inventandosi origini mitologiche, surreali o immaginando nuovi destini da offrire come nuovo racconto del proprio cammino. Un arameo nomade era mio padre ed io oggi sono qui a costruire il mio futuro, sapendo da dove vengo e portando come offerta il futuro verso il quale tendo e che so essere una “concessione” ovvero una grande benedizione da custodire.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(12 settembre 2014)