Quale museo della Shoah

saul meghnagiL’idea dell’annientamento del popolo ebraico e di altri ”diversi”, nel ventesimo secolo, si è sviluppata nella “culla” dell’illuminismo, dei valori di “libertà, uguaglianza, fratellanza”, dell’autodeterminazione dei popoli, dello Stato di diritto, in quell’Europa che ascrive a sé i valori fondamentali della democrazia. La progettazione e realizzazione della strage ha visto l’applicazione programmata della scienza: ingegneri, medici, biologi, tecnici, progettisti, operai per fornire ai carnefici i mezzi più raffinati per lo svolgimento del loro compito.
Tutto questo rende peculiare la Shoah: per certi versi, essa potrebbe essere affiancata alla pluralità di stermini che l’umanità è stata capace di compiere, ma, nei fatti, è un evento che fa parte della storia e della costruzione identitaria del nostro continente. Lo sterminio non stato opera dei soli tedeschi: in diversi paesi europei i nazisti hanno trovato collaborazione e connivenza, l’Italia stessa,come è noto, ha avuto un ruolo non banale nel fissare, nel 1938, una legge a “difesa della razza”.
Oggi fenomeni di razzismo e di antisemitismo riemergono senza quelle remore che in passato li hanno tenuti nascosti: “negazionisti” della Shoah agiscono, seppure condannati, nelle università, sedicenti “comici” si esprimono pubblicamente contro gli ebrei, posizioni xenofobe sono dichiarate senza vergogna, diversità culturali sono oggetto di insulto, sensibilità di genere tema di offesa.
Noi abbiamo, più che nel recente passato, il dovere di ricordare: dobbiamo farlo per onorare i morti ma anche per difendere i vivi, dobbiamo farlo come cittadini del nostro Paese, non solo come parte offesa da una violenza che non ha avuto pari nella storia.
Ma, per chi dobbiamo ricordare?
I desideri di coloro che sono sopravvissuti alla Shoah vanno ascoltati con attenzione. Le volontà di coloro che hanno subito la deportazione, hanno sofferto la prigionia, hanno visto la morte vanno trattate da noi con umiltà. Le attese di chi ha guardato in viso gli artefici dello sterminio esigono risposte non più differibili. Ma questo non basta.
Il ricordo, da parte da parte dei familiari e delle comunità di coloro che hanno subito le stragi – non solo ebrei, ma ogni altro gruppo caratterizzato da una peculiarità etnica, culturale, politica o fisica – continuerà a sussistere a prescindere da qualunque forma abbia la struttura preposta al ricordo. Nel contempo, è però necessario evitare l’affievolirsi della memoria o peggio il travisamento e la negazione di quanto accaduto.
Il problema non può ricadere su coloro che sono stati variamente toccati dall’orrore e, in particolare, sugli ebrei: se gli ultimi testimoni chiedono la realizzazione rapida di quel Museo della Shoah, da tempo prefigurato e progettato, la loro richiesta va ascoltata ma non ricondotta a una soluzione riduttiva di un bisogno innegabile.
Da anni, ormai, sono riproposte celebrazioni, pubblicazioni, mostre, convegni, pubblicazioni, incontri, viaggi nei luoghi della deportazione. E’ già chiaro da tempo che i destinatari non sono i figli dei perseguitati ma anche i figli e i nipoti di coloro che hanno partecipato, assistito o semplicemente accettato quanto stava avvenendo. Il Museo della Shoah deve essere destinato a tutti, non essere un luogo degli ebrei, ma un punto di incontro, di confronto, di ricerca su ciò che è potuto accadere.
Come fare senza limitare il tutto a un impianto, espositivo e documentario, che non risponda pienamente alla dimensione di quanto è avvenuto? Forse, nel pieno rispetto di quanto viene chiesto, vale la pena ragionare partendo da un’ulteriore domanda: a chi va rivolta la richiesta degli ultimi testimoni della Shoah?
La costruzione di un luogo, che sia sede di documentazione, ricerca, studio e riflessione su ciò che è accaduto in Europa, nel Novecento, è responsabilità delle istituzioni pubbliche, dello Stato e di chi lo rappresenta. Ad esse, va rivolta la richiesta.
Ciò appare necessario per affermare che un paese democratico, quale il nostro, è fedele e severo verso un passato che lo riguarda. È indispensabile per capire meglio il presente, con le sue complesse dinamiche di convivenza civile, per consentire la formulazioni di ipotesi sul futuro di una società civile che dovrà affrontare un confronto serrato tra religioni, nazionalità, sensibilità.
Per questo, il Museo della Shoah va difeso come museo nazionale, dignitoso e decoroso, situato in una sede storicamente emblematica, come è avvenuto nella scelta di Villa Torlonia; contigua rispetto a una sede accademica, come Villa Mirafiori, sede di facoltà importanti della prima università di Roma; in una via vicina al centro di Roma; frutto di un progetto che potrà essere migliorato ma che è l’esito di un lavoro lungo e accurato. Altre eventuali soluzioni, prospettate di recente, devono avere analoghe caratteristiche di pregnanza,visibilità, pianificazione rigorosa.
Dieci anni fa, l’UCEI sostenne che Roma, luogo centrale della deportazione ebraica, doveva essere inequivocabilmente la sede di questo Museo: in ragione di questa volontà, il Museo di Ferrara (MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah) è stato chiamato a dare conto di tutta la storia ebraica assumendo le drammatiche vicende del Novecento quale parte ineludibile dell’insieme, senza assumerle, tuttavia, come totalizzanti.
Non c’è ragione perché una soluzione diversa e riduttiva venga ora accolta.
Le persone che hanno posto la domanda di tempi rapidi sapranno capire le motivazioni di un’attesa ulteriore con la quale, a testa alta, gli ebrei rimetteranno alle Autorità nazionali il compito di trovare le risposte che ad esse competono.
Le Autorità stesse sapranno dare alla ricorrenza dei settant’anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz forme celebrative consone, confermando nel contempo un impegno preso nei confronti di tutto il popolo italiano: la sfida di fronte alla quale si trova oggi l’Italia e la stessa Europa è nella forza dei principi e dei diritti su cui potrà e dovrà fondarsi il confronto, il dialogo, la rappresentanza, la tutela di ogni persona. E’ questo il fondamento di un’idea di cittadinanza fondata sul rispetto delle diversità, su un ricordo vivo, forte e consapevole affinché quanto accaduto non si ripeta.

Saul Meghnagi

(12 settembre 2014)