Ticketless – I Moncalvo, patrimonio dell’umanità

cavaglionLa scorsa settimana ho ricordato incidentalmente Enrico Castelnuovo, il grande storico dell’arte che da qualche mese ci ha lasciato. Vorrei tornare su di lui, non per un necrologio, genere di scrittura che non mi piace, ma per ricordare, attraverso un libro, la libertà del suo pensiero e la bellezza di un luogo. Le coincidenze, talora, favoriscono i nostri ricordi. Nei giorni tristi in cui Enrico ci lasciava, le Langhe, il Roero e il Monferrato ottenevano il riconoscimento del World Heritage List dell’Unesco, ovvero divenivano patrimonio dell’umanità. C’è di che esserne orgogliosi – almeno fino a quando riusciremo a conservare questo patrimonio per le generazioni future. Per l’ebraismo il Roero e le Langhe non sono luoghi così nevralgici come il Monferrato. La capitale del 50esimo luogo italiano scelto come patrimonio dell’umanità non potrà che essere Moncalvo, il cui cimitero è una delle sette meraviglie dell’ebraismo nazionale. Non così, purtroppo, la sinagoga, da decenni abbandonata. Su questo luogo convergono frutti di antiche benedizioni e moderne narrazioni letterarie. Qui l’uva, poco più in qua la castagna, a Fossano e Benevagienna perfino il porro fino a tutto l’Ottocento sostituivano l’improbabile dattero nelle quotidiane benedizioni dei nostri padri. “La grande battaglia” degli ebrei a Moncalvo è una sorta di Meghillah del giudaico-piemontese. A Moncalvo è nato Gustavo Sacerdote, socialista e traduttore di Marx e di Engels e in fine carriera pure di Thomas Mann.
“I Moncalvo” s’intitola il romanzo di Enrico Castelnuovo (1908), che non è però l’Enrico Castelnuovo, la cui memoria oggi vorrei qui riportare a benedizione, perché il suo insegnamento è stato buono come un frutto della terra. Stravaganti erano entrambi gli Enrichi, in una genealogia famigliare, quella dei Castelnuovo, composta per lo più di matematici. “Un mediocre romanzo”, mi diceva Enrico Castelnuovo, tanti anni fa, scherzandoci sopra, ma consigliandomi comunque di leggerlo. Il libro lo si trova con fatica (l’ultima edizione a c. di G. Manacorda, Lucarini, 1989), ma non sarà male rileggerlo prima di metterci in viaggio. In questi giorni in cui, prima delle festività autunnali, ci rechiamo sulle tombe dei nostri cari, la vecchia statale da Torino almeno negli ultimi due chilometri, bisognerebbe farla a piedi, per arrivare al vecchio cimitero di Moncalvo al tramonto.

Alberto Cavaglion

(17 settembre 2014)