David Grossman apre Pordenonelegge, Per Israele un atto d’amore
Paragona la propria arte all’ingegneria genetica, David Grossman,ad un pubblico silenzioso e attento che riempie il Teatro Verdi di Pordenone e lo ascolta dialogare con Gian Mario Villalta, il direttore artistico nell’intervista che apre Pordenonelegge, festival della letteratura sempre più importante, giunto quest’anno alla sua quindicesima edizione.
Parla del piacere provato nel creare mondi interi, funzionanti in modo organico come un corpo vivente.
Definisce il proprio scrivere d’amore come un rifugio dalla violenza e dalla morte, alla ricerca di un posto che gli permetta di comprendere se stesso e definire la realtà. Prendendo spunto dalle sue ultime grandi opere, il grande autore israeliano racconta il proprio atto creativo come una grande elaborazione che nasce poco a poco: personaggi sorti mettendo insieme elementi diversi provenienti da molteplici individui reali che lentamente iniziano a interagire fra loro e prendono forma nella sua immaginazione in modo sempre più totalizzante, al punto da far sembrare la scrittura delle loro storie non tanto uno svolgimento in avanti, quanto piuttosto un ricordare ciò che è stato come fosse già accaduto veramente.
“Caduto fuori dal tempo”, il romanzo scritto dopo la morte di suo figlio Uri al confine con il Libano nel 2006, è un viaggio che procede in modo non lineare, circolare piuttosto, descrivendo una spirale che poco a poco porta tutti gli attori di questa grande tragedia a raggiungere quel “laggiù”, il luogo dove si trova la barriera che segna il confine tra la vita e la morte, a recuperare poco a poco, vagando assieme, sempre più numerosi, la capacità di parlare, persa assieme alla persona che ognuno di loro piange e poter, finalmente, affrontare ognuno il proprio grande e personale dolore. Sembra quasi di leggere, con quest’opera, uno dei tanti possibili seguiti di “A un cerbiatto somiglia il mio amore” che lo aveva proceduto e che si era concluso con un finale aperto, aperto come la vita stessa, nel quale il lettore si trova ad accompagnare la protagonista in una fuga disperata da una notizia che cerca disperatamente di esorcizzare intraprendendo un percorso che, di nuovo, ha la fisicità di una lunga escursione a piedi con l’amico di un tempo ma è anche interiore, un viaggio a ritroso nel ricordo degli episodi della vita del figlio senza dimenticarne il più piccolo dettaglio, nella speranza, facendo così, di proteggerlo dai rischi della guerra.
Procedere guardando indietro. Così avviene l’atto di chi scrive in ebraico, in un andamento che avanza dirigendosi da destra verso sinistra, luogo dell’origine secondo l’universale simbologia dello spazio grafico. A Pordenone l’autore israeliano rende un grande omaggio alla propria lingua madre, lingua “dormiente” nella sua descrizione, moderna e attuale, ma con un’eco che si ritrova in ogni suo strato, proveniente da un passato remoto, che di commento in commento risale alla Torah, sua prima radice e fonte di nutrimento. La scrittura di David Grossman è complessa, profonda e al contempo lieve, riesce ad esprimere l’indicibile proprio perché sa mostrare le lacerazioni della vita facendole apparire poco a poco da angolazioni diverse. Non nasconde nulla anzi, mostra tutto; ma con una “pietas” che a volte sembra andare al di là dell’umana possibilità e per la quale non gli si può che essere grati.
Paola Pini
(18 settembre 2014)