Regno Unito, sollievo e speranze
La Scozia non sarà indipendente. Questa la notizia che sta rimbalzando su tutti i giornali da stamattina: niente secessione dunque; il 55,30 % della popolazione ha deciso di ‘restare’ nel Regno Unito, un ‘no, thanks’ che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti. E una vittoria per la democrazia, vista la partecipazione record alle urne: l’84,59% degli scozzesi ha deciso infatti di dire la propria e votare. Nei mesi scorsi la comunità ebraica scozzese si era dichiarata preoccupata della possibile indipendenza e dell’accesa spinta nazionalista che ne sarebbe conseguita. A parlare Ephraim Borowski, il direttore of the Scottish Council of Jewish Communities che ha spiegato come la recente guerra tra Israele e Hamas abbia fatto traballare il rapporto con la classe politica scozzese. Il presidente del Glasgow Jewish Community Trust Malcolm Livingstone ha aggiunto: “I gruppi pro-palestinesi hanno compromesso il nostro rapporto con il paese. Il Parlamento scozzese ha mostrato nei mesi passati preoccupanti atteggiamenti anti-israeliani e anti-ebraici”. L’8 agosto per esempio fuori dal City Council di Glasgow ha sventolato per una giornata la bandiera palestinese, in segno di solidarietà. “Un gesto che non potrà fare niente per alleviare le sofferenze di entrambi le parti e che non avvicinerà in alcun modo la pace” ha detto a proposito il Presidente del Glasgow Jewish Representative Council. A qualche giorno prima risale invece la richiesta di Alex Salmond, il protagonista del sogno indipendentista scozzese, di imporre l’embargo delle armi per Israele. Destava uan certa inquietudine osservare il legame tra l’ipotesi nazionalista e la dura posizione anti-sionista. Sul notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24 di ieri il demografo Sergio Della Pergola analizzava la situazione: “A priori, dal punto di vista dell’esperienza storica delle comunità ebraiche nel mondo, si può dire con certezza questo. Quando e dove nella società generale di un paese ha predominato una sufficiente apertura al pluralismo delle idee e delle culture, anche gli ebrei hanno trovato i loro spazi per una decente presenza comunitaria e socioeconomica, e a volte anche per una crescita demografica. Quando e dove invece ha predominato il monolitismo nazionalista o clericale, per gli ebrei sono stati tempi duri, e le comunità, con le buone o con le cattive, sono diminuite”. Il nazionalismo crescente in ogni paese rischia quindi ostacolare la vita ebraica; dalle possibile proibizioni di pratiche rituali in poi. Sul Jewish Chronicle, Geoffrey Alderman ha scritto un articolo intitolato Se fossi scozzese non voterei per l’indipendenza: “Secondo il censimento del 2011 ci sono 5,887 abitanti della Scozia che si identificano come ebrei, un numero che rispetto al 2001 è diminuito dell’8%. Comunità così piccole non sono auto-sufficienti”. Prendiamo ad esempio la shechitah continua Alderman: “Al momento non c’è e ci si basa sull’importazione. Sarebbe ancora possibile? I portavoce degli indipendentisti interrogati sull’argomento, si sono mostrati perplessi. Inoltre il Partito Nazionalista Scozzese ha avuto storicamente dei membri simpatizzanti del nazismo come Douglas Young”. Tante le voci autorevoli che si sono pronunciate sul dibattito come Barack Obama (“Il Regno Unito è un partner straordinario per noi e spero che rimanga forte, robusto e unito”) mentre il presidente francese Hollande ha attribuito la forza del movimento indipendentista al fallimento dell’Unione Europea, “Perché l’UE non riesce a creare una confederazione nella quale tutti si possano identificare?”. Oggi il premier inglese David Cameron ha quindi registrato una vittoria anche se più del 40% degli scozzesi continuerà a provare lo stesso malcontento. Dopo 307 anni, però, il Regno Unito continuerà a restare unito.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(19 settembre 2014)