Le colpe dell’Occidente
Nel leggere i numerosi commenti dedicati, in questi giorni, all’analisi del fenomeno ISIS – la sua rapida e imprevedibile crescita, i suoi metodi brutali e sanguinari, il sinistro fascino esercitato anche su tanti giovani occidentali -, ho notato la grande frequenza con la quale, nel cercare un responsabile dell’inquietante minaccia, molti commentatori, di varia estrazione e orientamento, hanno fatto insistente riferimento alle “colpe dell’Occidente”. Se il fanatismo e il terrorismo dilagano, ciò non sarebbe altro che una conseguenza delle improvvide e sciagurate operazioni militari che sono state prese, negli anni passati, dalle potenze occidentali in quell’aerea del mondo, le quali non avrebbero fatto altro che generare un comprensibile sentimento di odio e di rivalsa nelle masse arabe, che ora verrebbe allo scoperto. Colpa quindi, della prima e della seconda guerra del Golfo, ma anche – ho letto – degli interventi in Afghanistan, in Siria, in Libia ecc. Ho anche sentito richiamare, su un autorevole quotidiano, la guerra del Vietnam, come prova emblematica degli errori passati degli Stati Uniti, e del comprensibile risentimento verso l’America da parte dei “poveri del mondo”.
Tutti questi giudizi mi lasciano molto perplesso, e la mia perplessità è accentuata, anziché diminuita, dal fatto che, in questi ragionamenti, c’è del vero. Come si può negare, infatti, che molte volte, in passato, la forza militare è stata usata, dalla potenze occidentali, per scopi poco nobili, e con esiti quanto meno discutibili? Come negare che sempre, nella storia, l’uso della violenza genera delle reazioni incontrollate, facendo sì che siano chiamati a “pagare il conto” anche soggetti diversi da quelli che la violenza hanno praticato, in tempi e in luoghi diversi? Chi studi un po’ di storia, sa bene come essa appaia un’interminabile catena di cause ed effetti, e come, dietro ogni avvenimento, ci sia sempre un presupposto, una causa, dietro i quali si celano ancora altre cause, altri presupposti, risalendo, all’infinito, all’indietro nel tempo.
Tutto ciò, ripeto, è vero, e quindi non si sbaglia a cercare le “colpe dell’Occidente”. Ce ne sono, eccome. Eppure, queste analisi mi paiono tutte quanto meno incomplete, se non ambigue e superficiali, per tre essenziali motivi.
Il primo motivo è che la raffigurazione dell’Occidente come una sorta di soggetto astratto e ideale, che, nel continuo gioco di cause-effetti, sia sempre e solo dalla parte delle cause, e delle cause del male, è profondamente irreale, risponde a una raffigurazione semplicistica e moralistica della realtà: la storia, e la geografia, sono molto più articolate e complesse, il male e il bene sono venuti da tante parti, sono andati in tante direzioni diverse: anche nei confini dello stesso Occidente (qualsiasi cosa esso sia), così come dell’Oriente, del Nord e del Sud.
Il secondo motivo è che è fin troppo facile denunciare l’errore ogni qual volta qualcuno fa qualcosa. L’iniziativa x è stata negativa, l’intervento y è stato sbagliato ecc. ecc. Ma c’è qualcuno che possa ragionevolmente dire che l’unica strategia giusta sia, in ogni caso, non fare mai nulla? Non vogliamo tirare in ballo, per l’ennesima volta, l’abusato (ancorché efficace) esempio di Monaco ’38, per ricordare che, a volte, non fare nulla può essere il più tragico degli errori. Ma io, tra le “colpe dell’Occidente”, vedo innanzitutto la passività, l’ignavia, l’indifferenza con cui si assiste alle più brutali e flagranti violazioni dei diritti umani, dentro e fuori dei confini occidentali (quali che siano), senza che ciò disturbi minimamente il sonno di nessuno. L’ISIS c’è da anni, di quanti morti, di quante gole tagliate c’è stato bisogno, prima che qualcuno cominciasse, piano piano, ad alzare un sopracciglio?
Il terzo motivo è che non mi ha mai convinto il fatto di spiegare tutto, sistematicamente, con quello che è accaduto prima. Le responsabilità pregresse, ripeto, ci sono, e vanno ricordate. Ma esse non eliminano le responsabilità del presente. Se è sempre colpa di Adamo, non è mai colpa di nessuno, e non vale la pena fare niente, perché, qualsiasi cosa si faccia, si genereranno certamente delle nuove reazioni negative. Ma cosa sarebbe stato più utile, negli anni ’30, organizzare dei seminari sugli errori del trattato di pace di Versailles, o cercare di contrastare il riarmo della Germania? E oggi, cosa sarebbe utile fare, e cosa sbagliato?
Certamente, faccia o non faccia qualcosa, il povero Occidente continuerà sempre ad avere le sue ‘colpe’. Le quali non deriveranno tanto dagli errori compiuti, ma, semplicemente, dal non essere più il centro del mondo, bensì, come spiegò già, quasi un secolo fa, Oswald Spengler, nel suo capolavoro “Il tramonto dell’Occidente”, nient’altro che la “terra della sera”, “Land des Abends”.
Francesco Lucrezi
(1 ottobre 2014)