A proposito di Davis
Chissà se una qualche eredità ebraica avrà influenzato anche l’ultimo capolavoro dei fratelli Joel ed Ethan Coen, “A proposito di Davis” (“Inside Llewyn Davis”, 2013): la storia di un incompreso e melanconico musicista folk di Greenwich Village, che tra ristrettezze economiche, problemi relazionali, ed insuccessi, lo troveremo perdutamente a errare – accompagnato da un altrettanto spaesato gatto rosso – in una prematura America degli anni ’60 alla ricerca della conquista dei propri sogni e di una propria realizzazione. Come il corrispettivo Larry Gopnik di “A Serious Man”, Llewyn Davis è forse un Giobbe moderno, o un erede dei vari K. kafkiani, che nella perenne irrequietezza, non riuscirà mai bene a comprendere quell’inesplicabile legge che muove l’esistenza degli individui. Il finale del film sarà scandito dalle note di “Farewell” del ben più fortunato Bob Dylan, un addio, prima di rimettersi in cammino per un altro interminabile viaggio senza destinazione: “So it’s fare thee well my own true love, / We’ll meet another day, another time. / It ain’t the leavin’ /That’s a-grievin’ me / But my true love who’s bound to stay behind”.
Francesco Moises Bassano
(3 ottobre 2014)