Di cosa stiamo parlando
Domenica sera il Consiglio della Comunità ebraica di Roma si è riunito con un ordine del giorno a dir poco abbondante, fortemente voluto dal presidente Riccardo Pacifici. Tra i vari argomenti ha destato curiosità, attenzione e preoccupazione quello relativo all’avvio della procedura per l’uscita di Roma dall’Unione delle comunità ebraiche (UCEI). Si tratta di un’ipotesi addirittura rivoluzionaria: la più grande comunità italiana uscirebbe dall’istituzione nazionale dell’ebraismo, i cui rapporti con lo Stato sono regolati dall’Intesa, un accordo che ha rango di trattato internazionale. Noi ebrei romani non avremmo più i soldi dell’otto per mille e, tecnicamente, cesseremmo di essere ebrei per la Repubblica, senza contare che altre entità giuridiche potrebbero nascere.
L’argomento è troppo serio per piegarlo a logiche di parte, e spero che questo articoletto non venga strumentalizzato per “schiacciare” l’UCEI su questo o sull’altro versante. Le consigliere UCEI della lista “Binah” sono intervenute per prime su questa questione, sottolineando molti elementi che paiono ragionevoli. Che ci fossero delle polemiche nei mesi scorsi, esplose con le dimissioni di alcuni consiglieri romani, è cosa nota. Ma come si è arrivati a un’ipotesi così dolorosa, forse poco percorribile sul piano giuridico? Un tema tanto delicato merita una discussione proficua, larga e depurata da logiche elettorali o mediatiche.
Vorrei solo notare due aspetti sostanziali: mi pare assai poco democratico che una scelta così “costituzionale” (o, per converso, eversiva) venga affrontata senza nessuna forma di consultazione degli iscritti, presumibilmente ignari. Non una mail, non un’assemblea, non un referendum. Si parla dei rapporti tra gli ebrei romani e l’Italia ebraica, tra gli ebrei romani e lo Stato italiano, possibile che non abbiamo neanche il diritto di essere informati su quello che potrebbero decidere 28 consiglieri eletti nel 2011? Mi pare una cosa poco sostenibile.
In secondo luogo vorrei far notare che il momento non mi pare fortunato. Dopo un’estate che, con la guerra di Gaza e i missili su Israele, ci ha visti angosciati e mediaticamente esposti, è proprio il caso di mettersi a dividere la comunità tra buoni e cattivi? È proprio necessario andare sempre alla ricerca di amici e nemici, di alzare la tensione? A me sembra che dovremmo, come minimo, provare a sederci tutti assieme e ragionare nel tentativo di unire la comunità, non di continuare a dividerla.
Infine, questa discussione potrebbe trasformarsi in un’occasione per riflettere. Sugli scenari e sulle prospettive dell’ebraismo italiano, sempre più esiguo nei numeri. Si potrebbe partire dall’indagine socio-demografica dell’ebraismo italiano, promossa e coordinata dall’UCEI, oggi raccolta nel volume curato da Enzo Campelli “Comunità va cercando, ch’è sì cara”. Così, tanto per sapere di cosa stiamo parlando.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi