Il Sinodo e noi
Si è chiusa la prima fase dei lavori del Sinodo dedicato alla famiglia. Dopo giorni di discussioni è stata divulgata una relazione che non nasconde i punti controversi, i dissensi e persino i voti sui singoli punti. Due sono state le questioni più dibattute anche sui mezzi di informazione: l’atteggiamento da tenere nei confronti degli omosessuali e la possibilità o meno per i divorziati risposati di far parte della comunità ecclesiale. Ovviamente si tratta di problematiche attualissime se pensiamo alla società in cui viviamo.
Non è stato raggiunto un compromesso unitario e dunque le decisioni finali sono rimandate al prossimo anno, quando si svolgerà il Sinodo vero e proprio. Divergono le letture, ma molti concordano nell’affermare che la linea “progressista” interpretata dal cardinale Kasper, preferita anche da papa Bergoglio, abbia avuto una battuta d’arresto per la fiera opposizione dei “conservatori” (mi si scusi la semplificazione grossolana). Tuttavia il papa ha scelto di rendere trasparente questa diversità di posizioni, pubblicando il documento in versione integrale.
Si tratta di una mossa coerente con questo pontificato, attento a valorizzare la discussione e conseguentemente l’unità tra le differenze, al di là dell’esito finale che valuteremo l’anno prossimo. A me pare una sfida molto interessante e anche coraggiosa. Comprendo le difficoltà e lo spaesamento di molti cattolici di fronte a questioni che prima erano tabù, ma ritengo che la sfida della modernità intrapresa da questo papa sarà utile alla Chiesa, pur tra difficoltà e contraddizioni.
Rav Riccardo Di Segni ha giustamente rilevato come un passaggio del documento sia difficilmente accettabile in una prospettiva ebraica. Siamo sempre al solito insuperabile problema della prima e della seconda Alleanza. Bene ha fatto il rabbino capo di Roma a sollevare la questione. Sarebbe però bello che anche nel mondo ebraico, che notoriamente non ha una struttura centralizzata e una “Chiesa di Roma”, potessero aprirsi riflessioni e dibattiti di questa intensità e attualità. La vita delle persone – di quelle che vivono oggi in carne e ossa – non aspetta la Chiesa, ma non si ferma neanche ad aspettare l’Halachà.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(21 ottobre 2014)