Noi e l’Halachà
“Sarebbe però bello che anche nel mondo ebraico… potessero aprirsi riflessioni e dibattiti di questa intensità e attualità [di quelli del Sinodo]. La vita delle persone – di quelle che vivono oggi in carne e ossa – non aspetta la Chiesa, ma non si ferma neanche ad aspettare l’Halachà”.
30 anni fa una nota del genere non sarebbe stata scritta in Italia per il semplice motivo che non si sapeva cosa fosse l’Halachà e ognuno si regolava per conto proprio. Rispetto ad allora c’è già un progresso perché oggi molti sanno cosa è la Halachà ma si guardano bene da studiarla. E così ignorano gli sviluppi, le riflessioni e le laceranti discussioni su temi di attualità che la attraversano. Quello che invocano non è in realtà il dibattito ma la conclusione a servizio delle loro scelte, quali che siano, e se comunque non arriva, questa conclusione, non stanno ad aspettarla. La principale loro fonte di aggiornamento sono le notizie della informazione generale, assenti sulla Halachà (se non per ridicolizzarla) ma abbondanti sul Sinodo dei Vescovi, la cui opinione sulla Halachà abbiamo però visto quale è: un’era conclusa e superata. Ma a pensarci bene non è un’opinione molto differente da quella di chi ignora, per scelta, cosa dice l’Halachà e soprattutto non si ferma ad aspettarla. Il rifiuto della Halachà è una delle anime della rivoluzione antiebraica del cristianesimo delle origini. L’ebraismo autentico, spiace deludere chi non si ferma ad aspettare la Halachà, è esigente. Alla Halachà, che non ignora affatto le persone in carne ed ossa ma le rispetta indicando loro la strada da percorrere (è questo il significato della parola), bisogna piegarsi. Qui invece si vuole che l’Halachà si pieghi alle persone.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
(22 ottobre 2014)