JCiak – La strana guerra delle signore

EP-140719376 (1)Il caso Suha Arraf iniziava ormai a sbiadire nella memoria e dalle pagine dei giornali. Ma le fresche nomination agli Oscar dei film stranieri rilanciano la strana guerra dei filmaker palestinesi, tutta stranamente giocata al femminile. A far parlare di sé in questi giorni è Najwa Najjar, regista di “The Eyes of a Thief”, film candidato dalla Palestina all’Academy Award che è riuscita nell’impresa di scatenare un vespaio sia da parte israeliana sia da parte palestinese.
Intanto un’altra signora palestinese del cinema, Ibtisam Mara’ana, i festival israeliani richiedono di togliere la dicitura “Israele/Palestina” dai titoli di coda di “Write Down, I am an Arab” dedicato al grande poeta palestinese Mahmoud Darwish mentre quelli arabi la boicottano – un po’ per lo stesso motivo, un po’ perché è cittadina d’Israele. Insomma, il dibattito estivo intorno a “Villa Touma”, il film che Suha Arraf aveva girato con fondi israeliani e presentato al Festival di Venezia come palestinese, è stato solo un assaggio della gran rabbia che bolle in pentola.
La polemica su Najwa Najjar, che vive a Ramallah, non ha nulla a che fare con i finanziamenti. Il film, girato nel West Bank, a Nablus e in piccola parte a Betlemme, è infatti prodotto con fondi arabi, palestinesi e internazionali. Il problema riguarda piuttosto i contenuti. La storia si ispira alla vicenda di Thaer Hamad, 22 anni, che nel marzo 2002, in piena seconda Intifada, nel Wadi al-Haramieh (in ebraico la “Valle dei ladri”) vicino a Ramallah, stermina a un checkpoint dieci israeliani, fra cui sette soldati. Il giovane viene preso due anni dopo ed è condannato a vita.
“The Eyes of a Thief” si sofferma sul ritorno a casa del protagonista, Tarek, che dopo dieci anni per strage nelle carceri israeliane torna a Nablus alla ricerca della figlia. Il film gioca tra presente e passato, con continui flashback al 2002, per raccontare nella quotidianità la vita dei palestinesi allora e oggi.
Da parte israeliana ci si è infuriati per quella che è stata vista come la glorificazione dell’artefice di un sanguinoso massacro (allo stesso modo, si è fatto notare, andrebbe dedicato un film anche a Baruch Goldstein, l’estremista israeliano che nel ’94 fece una strage alla Tomba dei patriarchi).
Da parte palestinese ci si è invece accaniti contro la mancanza di prospettiva storica di quello che molti considerano un importante atto della lotta di liberazione nazionale e contro la scarsa conoscenza della società palestinese da parte della regista. Dove si è mai visto, ad esempio, che un “eroe” torni a casa da solo, senza le grandi celebrazioni politiche che celebrano il rilascio di ogni prigioniero politico?
Discussa poi la scelta degli interpreti – Najjar ha affidato il ruolo principale a Khaled Abol Noga, noto attore egiziano, e quello della figlia alla cantante algerina Souad Massi – che non sarebbero in grado di rendere la parlata e la gestualità palestinesi. Malgrado le critiche, “The Eyes of a Thief” – girato con fondi non israeliani, girato nei territori dell’Autorità palestinese e con attori arabi – può comunque entrare tranquillamente nel circuito dei festival arabi. Cosa interdetta, almeno finora, a “Write Down, I an an Arab” di Ibtisam Mara’ana, di recente rifiutato al Festival di Beirut. La guerra dei film covava da tempo, Suha Arraf quest’estate lo aveva detto con chiarezza denunciando la difficile situazione di tanti filmaker palestinesi che lavorano in Israele. Ma in un mondo ancora così maschile come quello del cinema, non si poteva prevedere che a far saltare il banco fossero le donne.

(Nella foto una scena del film “The Eyes of a Thief”)

Daniela Gross

(23 ottobre 2014)