“Crimini nazisti, dalla Corte una sentenza esemplare”
“Italien ist in Guter Verfassung”, l’Italia è in ottima Costituzione. È un titolo forte, ironico e sferzante quello che i giornalisti dell’autorevole settimanale ebraico tedesco Juedische Allgemeine Wochenzeitung hanno assegnato all’editoriale dedicato alla sentenza della Corte Costituzionale, dove si riafferma il diritto delle popolazioni civili vittime delle violenze nazifascite di agire nelle cause civili per il risarcimento del danno contro lo Stato tedesco. Il giornale, notoriamente considerato molto influente e molto ascoltato negli ambienti della Cancelleria berlinese, è presente di diritto, oltre che nelle edicole e nei locali pubblici delle principali città, in tutti gli uffici del governo tedesco, nei centri culturali, nelle biblioteche e nelle scuole statali. Con un gesto significativo la direzione del settimanale pone in forte evidenza l’articolo, che suona come una dura messa in guardia rivolta all’esecutivo tedesco il quale già in passato aveva cercato di resistere a questa impostazione giuridica, ma ne affida anche la stesura a un opinionista ebreo italiano, Guido Vitale, il direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Scrive Vitale, ribadendo punto per punto la linea già tracciata dal Presidente dell’Unione Renzo Gattegna: “Secondo le valutazioni emesse dalla Presidenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si tratta di una sentenza esemplare, di grande valore morale, che rende giustizia alle vittime delle persecuzioni e dei genocidi e ai loro discendenti. Una sentenza che costringe tutti gli Stati a confrontarsi e a rispettare i valori contenuti nella Costituzione che l’Italia repubblicana volle darsi nel 1948 dopo la definitiva disfatta delle dittature fascista e nazista che avevano adottato il razzismo e il sistematico sterminio di intere popolazioni come pratica di conquista e di asservimento”. Gli ebrei italiani, sottolinea ancora Vitale, ritengono che questa sentenza costituisca “un ulteriore passo verso la libertà e l’eguaglianza di tutti gli esseri umani” e per eliminare “qualsiasi ostacolo al corso della Giustizia”.
L’Italia vista attraverso le opere di Primo Levi. In una lunga intervista a Repubblica (Simonetta Fiori) l’editrice e traduttrice statunitense Ann Goldstein – protagonista in questi giorni di incontri tra Torino, Milano e Roma – offre una panoramica sul crescente successo oltreoceano delle opere dell’intellettuale torinese. “Per noi il criterio fondamentale è stato quello di seguire le indicazioni di Levi, anche nel tentativo di restituirne tutta la poliedricità. Vorremmo darne un’immagine più completa – spiega Goldstein – non più schiacciata sul testimone della Shoah”.
Antisemitismo e ingiurie, nuovi indagati alla sbarra nel processo Stormfront II. Tra i 14 imputati figura Mirko Viola, anima italiana del portale dell’odio che nel 2012 fu condannato a 2 anni e otto mesi di carcere. Così Federica Angeli (Repubblica Roma): “Il tenore dei post e dei commenti su Stormofront sono, secondo la magistratura romana, la prova evidente della violenza nei confronti della Comunità ebraica”. Ad essere presi di mira anche il sindaco di Lampedusa Giuseppina Maria Nicolini, lo scrittore Roberto Saviano e la delegata alla Memoria di Roma Capitale Carla Di Veroli.
“Mi attaccano perché difendo Israele. Quando premono perché rinunciamo alla nostra sicurezza, la scelta più semplice è cedere alle richieste. In quel caso ti applaudono, srotolano i tappeti rossi. E noi ci ritroviamo con i terroristi armati di missili”. Lo ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo l’incidente diplomatico generatosi in seguito alla considerazioni di un anonimo funzionario di Washington, molto vicino al presidente Obama, che lo aveva etichettato con l’offensivo epiteto di ‘chickenshit’. “L’aspetto positivo – è il funzionario a parlare – è che ha paura di dichiarare le guerre. Quello negativo è che non farà nulla per raggiungere la pace con i palestinesi o con i Paesi arabi sunniti”. L’episodio e le sue conseguenze sono analizzate, tra gli altri, da Davide Frattini del Corriere della sera.
Nelle stesse ore, a Gerusalemme, il rabbino Yéhuda Glick è stato colpito dal fuoco di un motociclista palestinese 32enne (ucciso questa mattina nel corso di un blitz). Le sue condizioni di salute sono apparse da subito molto gravi. Scrive il Corriere, senza tra l’altro menzionare le generalità di rav Glick: “Il ferito è un militante di destra che aveva partecipato a un dibattito al Centro per l’eredità di Menachem Begin (defunto primo ministro israeliano del Likud) sul tema delle rivendicazioni ebraiche sul Monte del Tempio”.
Sulla Nazione Duccio Moschella si sofferma sulla figura di Suor Maria Agnese Tribbioli, riconosciuta Giusta tra le Nazioni per il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati. Nel raccontare dei molti fiorentini onorati a Gerusalemme, Moschella ricorda come Elia Dalla Costa, iscritto nel libro dei Giusti nel 2012, sia stato definito dal mensile UCEI Pagine Ebraiche “il cardinale del coraggio”.
“La paura, specialmente se si può cambiare in terrore, porta voti. Non è una buona ragione. Anzi è cattiva, offre l’immagine di un Paese squallido, solo e male informato”. È quanto scrive Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano) relativamente alle dichiarazioni di Beppe Grillo sugli immigrati e sul richio contagio che deriverebbe da un contatto con la popolazione civile. Nel commento Colombo ricorda come anche il versante finto scientifico delle teorie fasciste sulla ‘difesa della razza’ (1940) attribuisse agli ebrei “rischi di contagio che suggerivano agli ‘italiani puri’ totale separazione”.
Su domanda di un lettore, Sergio Romano (Corriere della sera) si dilunga sul riconoscimento dello Stato palestinese da parte di alcuni paesi europei e sulle scelte di politica mediorientale dei vari governi italiani. Scrive Romano: “Se alcuni Paesi ancora esitano a riconoscere lo Stato palestinese le ragioni sono contemporaneamente pratiche e giuridiche. Non è facile avere rapporti normali con uno Stato in cui il governo nazionale, formato in giugno, non ha ancora dato prove concrete della sua esistenza, e in cui i confini restano incerti. Non è facile assumere impegni internazionali con un Paese se una parte del suo territorio è occupata da insediamenti stranieri ed è perlustrata da truppe straniere”. Riconoscere la Palestina, conclude l’ambasciatore, “significa accettare la possibilità di frequenti e fastidiose divergenze con Israele”. Prospettiva alla quale non si ritiene tutti i paesi europei “siano pronti”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(30 ottobre 2014)