emunà…
Della promessa divina ad Avrahàm, oltre al possesso della terra di Kenà‘an, fa parte anche la promessa di numerosa discendenza. È forse qui che si manifesta per la prima volta la concezione che il bene che il Signore elargisce non è un bene se non è tramandabile alle generazioni successive; questa attenzione alla continuità è certamente una delle caratteristiche principali dell’Ebraismo.
Ciò che più colpisce, però, è il fatto che tale promessa di discendenza è riportata due volte, in maniera assai diversa: dapprima la promessa divina è “Farò diventare la tua progenie come la rena della terra, sì che se uno potesse contare la rena della terra anche la tua progenie potrebbe essere contata”; successivamente la promessa è “Guarda verso il cielo e conta le stelle, se puoi contarle: … così sarà la tua progenie”. I Maestri hanno rilevato questa differenza, ed hanno spiegato: “Se lo meriteranno, saranno come le stelle; se non lo meriteranno, saranno come la sabbia”.
Da questo insegnamento è evidente che l’Ebraismo preferisce la qualità alla quantità. È evidente che i granelli di sabbia sono più numerosi delle stelle visibili in cielo, ma mentre le stelle sono elevate e danno luce, la rena è opaca ed è perennemente calpestata e calpestabile. Tutto sommato, la quantità potrebbe non essere una benedizione.
Questo concetto è quantomai attuale e verificato nella realtà quotidiana: Comunità numerose possono essere ebraicamente morte e scomparire, mentre minuscoli nuclei possono crescere ed essere un esempio di ebraicità. Negli ultimi anni anche qui in Italia abbiamo visto il risorgere di piccoli nuclei ebraici dove sembrava ci fosse solo il deserto, piccole Comunità che in base alle loro condizioni sembrerebbero inesistenti e tuttavia riescono ad avere una qualche vita ebraica; e per contro vi sono nuclei anche non trascurabili dove non c’è vita ebraica, non ci sono lezioni per i pochi, ma pur esistenti, bambini. Ciò che fa la differenza è quello che in ebraico è definito “emunà”. Avrahàm “he’emìn ba-HaShèm”, “credette in D.”; ma la traduzione è traditrice: più che credenza, fede, ciò che salva un gruppo ebraico è la certezza di D., che dà la certezza della propria possibilità di sopravvivenza, per quanto il nucleo sia piccolo. Ciò che garantisce la sopravvivenza ebraica è la certezza che ogni piccola mitzwà che si osserva, ogni studio ebraico che si trasmette, è ciò che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ci ha affidato per rimanere ebraicamente vivi.
Elia Richetti, rabbino
(30 ottobre 2014)