Periferie – Predappio
Leggo su Moked del 29 ottobre dell’ordinata celebrazione svoltasi a piazza Venezia, a Roma, senza saluti romani, svoltasi il 28 ottobre. Il 26 se ne è svolta una analoga, con molti pellegrini venuti dal Lazio, al Cimitero di S. Cassiano a Predappio, dicono altrettanto ordinata. Non sono andata a quella Messa, ma ho potuto osservare di persona il raduno all’esterno, nello stesso Cimitero e presso la cripta del Duce, dove non sono mancati gli slogan “l’Italia agli italiani” ed i saluti romani, protagonisti anche tanti giovani e giovanissimi, talora studenti che so essere stati appositamente contattati nei giorni precedenti. Le cronache locali oggi lodano la compostezza della Messa, ricordando che “i sacerdoti sono tenuti a ricordare nelle messe in suffragio tutti i defunti, senza alcun giudizio politico”. Altrove riportano tutte le altre iniziative locali di questi giorni, dedicate a celebrare i 70 dalla liberazione di Predappio e di Forlì dal nazifascismo e dalla guerra.
Tra tutte queste molteplici iniziative, ovviamente di segno ben diverso, poca mi è parsa l’attenzione ai 70 anni dagli eccidi presso il campo di aviazione di Forlì del giugno-settembre 1944: complessivamente oltre 50 vittime, di cui venti ebrei (un solo italiano, Gaddo Morpurgo, tutti gli altri ebrei stranieri: il terzo maggior eccidio di ebrei in Italia, dopo quello di Meina e quello, all’altro estremo della Linea Gotica, di casa Pardo Roques a Pisa). Perché questi ebrei furono uccisi qui, da nazisti tedeschi guidati e scortati da italiani, invece di venir deportati com’era stato fino ad allora, nel caso delle tre famiglie di ebrei romani con bimbi piccoli deportati da Roma nella primavera 1944, rinchiusi nel carcere di Forlì, e poi portati – via Fossoli o Ravenna – ad Auschwitz, o nel caso delle donne ebree anziane di Lugo rinchiuse nell’ex Albergo Commercio, campo di concentramento repubblichino sito nel centro di Forlì, anch’esse poi deportate? Certo, era stato già chiuso il campo di Fossoli, ma si sarebbero potuti portare a Bolzano… E perché furono uccisi gli altri, accanto a militari leali al Re e a gappisti, accanto ai contadini vittime di rappresaglia, anche semplici impiegati comunali o casalinghe, intere famiglie di italiani inermi?
Ne parlavamo con i giovani che hanno studiato queste storie locali, e con gli studenti a lezione, tutti ugualmente a disagio perché si parla ancora tanto, forse troppo, di fascisti e di partigiani ma poco si parte ancora dalle vittime di quella violenza assurda, che ha scritto tanti capitoli della Shoah italiana e dei massacri di civili inermi, operati con la complicità di uomini del regime e di zelanti collaboratori e malgrado l’opposizione di chi variamente resisteva, violenza appena mitigata da quei giusti – di cui pure si parla poco – che per vari motivi hanno protetto e nascosto, salvando alcuni. Se sarebbe saggio che – come recita la targa che, poco lontano da qui, ricorda le vittime inermi del cimitero di Casaglia a Montesole – la nostra pietà per loro si traducesse nell’impegno “perché mai più il nazi-fascismo risorga”, fosse sarebbe ora che – oltre a vigilare responsabilmente sulle rinascenti ideologie e pratiche ‘anti’ – si aprisse una nuova stagione di memorie locali informate e serie, incentrate sulle vittime e sui giusti oltre che su perpetratori, resistenti e spettatori, che consenta ai più giovani di sapere come si arrivò a quella (e ad altre) ideologie totalitarie, come ci si arriva ancor oggi in tanti luoghi, e che li aiuti a mettere a frutto la benedizione di essere cresciuti nella democrazia e nella pace per rafforzare l’una e l’altra, malgrado la crisi in corso, e per prevenire ed arginare brutture e violenze nella vita quotidiana, vicino e forse anche lontano.
Maura De Bernart, Università di Bologna
(30 ottobre 2014)