Qui Trieste – Noa, la musica dell’anima
Pomeriggio “in famiglia” per Noa, organizzato dalla locale sezione dell’ADEI presso la sede sociale della Comunità di Trieste, approfittando della sua presenza a Trieste in occasione della sua tournée italiana, il “Love Medicine Tour” giunto, con il concerto di stasera al Rossetti, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, alla sua conclusione. Non una conferenza, perché la cantante e percussionista israeliana, fiera delle proprie origini yemenite, ha preferito sollecitare il pubblico a fare domande. Ecco allora che dalle diverse curiosità di ciascuno si è potuti spaziare, passando in modo rapsodico dai grandi amori della sua vita, la musica fin da bambina e la propria famiglia, con il marito e i tre figli, alle esperienze musicali; dagli incontri con i tantissimi artisti con cui ha lavorato e lavora, alla lunghissima collaborazione con Gil Dor, già suo docente, co-fondatore della Scuola di Jazz e Musica Classica “Rimon” di Tel Aviv.
Ha raccontato della sua esperienza del 1994 in Vaticano quando cantò, in Piazza San Pietro davanti a Giovanni Paolo II e a Madre Teresa di Calcutta, una versione dall’Ave Maria di Bach e Gounod proponendo un proprio testo, fonte di sorpresa e interesse. Quelle parole volevano mostrare la possibilità di trasportare le persone al di là del fatto strettamente religioso. “C’è un luogo profondo”, dice, “comune a tutti, dove i sogni e le speranze sono gli stessi”.
Sollecitata dall’uditorio, ha saputo essere molto chiara a proposito della sua visione politica, citando prima di tutto Amos Oz quando disse che quello attuale è ormai un conflitto tra “due diritti”, e che non c’è chi sta esclusivamente dalla parte giusta o dalla quella sbagliata, perché ci sono tantissime persone, da entrambi i lati disponibili al dialogo, a superare la logica del conflitto ad ogni costo. Per Noa non si tratta di essere dei pacifisti acritici e non c’è contraddizione tra l’aver svolto il servizio militare e agire a favore della fine di questa situazione: è necessario evitare di andare ciecamente verso un bagno di sangue che ucciderebbe tutti quanti. Convinta che ognuna delle parti in causa sia portatrice di diritti e doveri, ha cercato di affrontare, nel corso dell’incontro, una questione molto delicata che non può però essere ignorata: il sentimento verso Israele provato da chi abita nella Diaspora, in cui il quotidiano di un mondo a maggioranza non ebraica convive con l’orgoglio per un sogno. Sogno realizzatosi non soltanto come rifugio, ma soprattutto come espressione concreta di un ideale umano, verso il quale siamo tutti, indistintamente, responsabili. Sostenere Israele in modo acritico è naturale, ma non sempre adeguato, perché, afferma, “non è più tempo in cui si possa valutare la realtà in termini di bianco o nero, ma è ora di agire concretamente per realizzare la pace e non soltanto di parlare su come dovremmo parlarne”.
Parole forti, dette con decisione, ma con una serenità limpida e luminosa. Come avviene sempre nel momento in cui si tratti di persone dotate della capacità troppo rara di vedere oltre la situazione contingente e di considerare, in modo libero da stereotipi e pregiudizi il quadro generale, proiettandolo nel futuro.
(La foto è di Federico Valente)
Paola Pini
(30 ottobre 2014)