In un’altra lingua
Come sempre estremamente interessante e stimolante la lezione del Centro Internazionale Primo Levi, centrata quest’anno (il sesto) sul tema della traduzione, con il titolo “In un’altra lingua”. Lezione doppia, questa volta, con due interventi di prestigio: prima di tutto Ann Goldstein ha illustrato il proprio metodo di lavoro nella traduzione dell’opera di Levi, i problemi e le soluzioni; a titolo di esempio ha poi mostrato le successive stesure in inglese di alcuni passi all’inizio della Tregua, spiegando i cambiamenti dall’una all’altra e le scelte lessicali e sintattiche adottate. È curioso notare come in alcuni casi la soluzione più adatta a rendere efficacemente il ritmo e la pregnanza del testo originale richiedesse un mutamento della sintassi (mi sono domandata se l’importanza sacrale che gli insegnanti di latino e greco attribuiscono alla sintassi nella correzione delle versioni non sia quanto meno da ripensare). Inevitabile, poi (almeno per noi ebrei torinesi), chiedersi come viene reso in inglese il giudaico-piemontese di Argon (primo racconto del Sistema periodico): chissà cosa ne sarà stato, per esempio, della “abrakhà a côi gôjìm c’a l’an fàit i lòsi” (la benedizione del Nôno Leônìn, bisnonno di Levi, a chi aveva lastricato il vicolo davanti alla sua casa a Casale Monferrato), che mi era tornata in mente giusto poco prima di entrare alla lezione, mentre attraversavo maldestramente i pochi metri di acciottolato necessari per andare a pagare il parcheggio.
L’intervento di Domenico Scarpa – troppo complesso e ricco di stimoli per essere riassunto in poche righe – ha ampliato il discorso in molte direzioni diverse, dalle prime traduzioni di Levi in inglese e in tedesco ai molteplici linguaggi presenti nella sua opera. Due suggestioni mi hanno colpito particolarmente: il traduttore come anti-Eichmann, che ha il compito (come scrisse lo stesso Primo Levi) di “limitare i danni della maledizione di Babele”, ma anche per certi versi paragonabile al testimone che si trova di fronte all’impossibilità teorica e contemporaneamente alla necessità pratica di strappare territori all’indicibile (illuminanti a questo proposito i confronti con Dante).
Questa idea della traduzione come ponte tra mondi diversi può essere estesa a molti ambiti; viene in mente, per esempio, la nostra identità di ebrei della diaspora continuamente alle prese con la necessità di spiegare idee e concetti della cultura ebraica, agli altri ma prima di tutto a noi stessi.
Anna Segre, insegnante
(31 ottobre 2014)