Mogherini tra Israele e Gaza
“Il nodo più interessante è se riusciremo ad avere uno Stato palestinese nei miei cinque anni di mandato”. Si presenta così Federica Mogherini nella sua prima intervista, rilasciata a Marco Zatterin de La Stampa, in veste di Alto rappresentante della Politica Estera dell’Unione Europea. Il conflitto tra israeliani e palestinesi sarà al centro del nuovo corso di Bruxelles e per questo Mogherini ha scelto come prima missione diplomatica un viaggio in Israele e nella Striscia di Gaza, (previsto per venerdì prossimo). Un viaggio “per parlare alla gente, per passare qualche messaggio e, soprattutto, per ascoltare – afferma l’ex ministro degli Esteri italiano nel corso dell’intervista – La nostra responsabilità è di andare a vedere se, come sembra, ci sono margini perché l’Europa eserciti un ruolo”. Su un possibile riconoscimento da parte dell’Unione Europea dello Stato palestinese, come accaduto in Svezia, Mogherini – che parla di Tel Aviv e non di Gerusalemme come riferimento diplomatico per Israele – afferma che “il riconoscimento è una prerogativa degli Stati, non rientra nelle competenze dell’Ue. Ciò non toglie che ci sia un potenziale politico nelle mani dell’Ue se sarà unita. L’obiettivo primario è uno Stato palestinese, perché allora potremmo discutere su cosa si può effettivamente riconoscere”. Secondo il capo diplomatico dell’UE la nascita di uno stato palestinese dipende da “un problema di volontà politica e leadership interna, in Israele e in Palestina. Dopo i fatti di Gaza, il desiderio della gente è che non si vada avanti così per vent’anni. Anche perché, in assenza di rappacificazione, avremo una Gaza dopo l’altra. C’è una consapevolezza che rappresenta una finestra di opportunità”. Sempre su La Stampa, Maurizio Molinari ricostruisce in breve la situazione vissuta nelle ultime settimane in Israele, con le tensioni a Gerusalemme Est e i negoziati di pace da tempo fermi. Tanto che, scrive Molinaro, “tutti i protagonisti si allontanano dalla soluzione dei due Stati”.
“Cosa ci fa il busto del presidente del Tribunale della razza nel corridoio nobile della Corte costituzionale?”, si chiede Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere della Sera. Come è possibile che Gaetano Azzariti, magistrato che confezionò “leggi su misura per il duce e per la caccia all’ebreo” nel ventennio fascista, riuscì a raggiungere la presidenza della Suprema Corte senza che nessuno obiettasse nulla sul suo passato? A ricostruire la vicenda, con un’inchiesta che Stella definisce “stringente, documentatissima e implacabile”, il saggio di Massimiliano Boni, consigliere della Corte Costituzionale, dal titolo “Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale” pubblicato dalla rivista Contemporanea del Mulino. Boni riporta meritoriamente la luce su una storia vergognosa del dopoguerra italiano, in cui un uomo del fascismo, che applicò con zelo le infami leggi antiebraiche, riuscì non solo a uscire pulito da ogni responsabilità ma addirittura a raggiungere la presidenza dell’organo giudiziario che rappresenta e difende i valori della Costituzione italiana.
In tema di Memoria, Genova non dimentica la deportazione dei suoi concittadini ebrei e si è riunita ieri in una marcia silenziosa, organizzata dalla Comunità ebraica genovese assieme alla Comunità di Sant’Egidio, per le vie della città per ricordare le vittime del nazifascimo. Il 3 novembre del 1943, come ricorda il Secolo XIX, 256 ebrei furono deportati dal capoluogo ligure ai campi di concentramento nazisti. Solo 20 di loro riuscirono a tornare a casa. E mentre a Genova si rende onore alla Memoria, in Baviera continua la caccia a chi ha voluto profanarla, rubando la scritta “Arbeit macht Frei” dal cancello del campo di Dachau. La pista al momento più accreditata, riporta Avvenire, è quella che porta a un gruppo neonazista.
Una delegazione della Conferenza episcopale italiana è impegnata in questi giorni in una visita di solidarietà nella Striscia di Gaza e in Israele. Oggi, scrive l’Osservatore Romano, la delegazione guidata dal presidente della Cei Angelo Bagnasco si recherà a Sderot, città del Sud di Israele tra le più colpite questa estate dal conflitto con Hamas. “Siamo qui per ribadire solidarietà e ricordare che tutti hanno diritto a vivere in pace”, ha dichiarato Bagnasco ieri sera, dopo aver visitato Gaza (Avvenire).
Sul Corriere della Sera, il filosofo Bernard-Henri Lévy invita l’Occidente a non dimenticarsi della Libia. “Il nostro dovere – afferma Lévy – è non lasciare solo il popolo al cui fianco siamo stati nella lotta per la liberazione dalla dittatura”. Nella sua Amaca, invece, Michele Serra (Repubblica) invita a non cadere nell’islamofobia che definisce un “tremendo errore politico, che ingrassa il motore del terrorismo, radicalizza le differenze, spaventa gli inermi e i neutrali (cioè la stragrande maggioranza degli umani ) convincendoli che in atto un ferale ‘scontro di civiltà’ e dunque è necessario schierarsi da una parte o dall’altra”.
Dalle pagine del New York Times – in italiano su Repubblica – Thomas Friedman racconta la problematica di raccontare la minaccia dell’Isis senza però poter lavorare sul campo come giornalisti. Rapimenti e crudeli decapitazioni impediscono infatti di fare informazione direttamente dai luoghi in cui regna il Califfato. “L’Is ci dice quello che vuole che sappiamo attraverso Twitter e Facebook – scrive Friedman – nascondendoci quello che non vuole farci sapere. Quindi attenzione a cosa vi raccontano su questa guerra, che ne parlino bene, male o con indifferenza. Senza un giornalismo indipendente sul campo ci aspettano delle sorprese. Se non vai, non sai”.
Daniel Reichel
(4 novembre 2014)