Azzariti, il busto della vergogna Nuova luce dopo la denuncia di Pagine Ebraiche e Umberto Eco
“Strada per strada, lo sbadato omaggio alla geografia dell’odio”.
È il titolo di un’inchiesta sulle distorsioni della tipografia italiana apparso, a firma del direttore Guido Vitale, sul numero di marzo del mensile dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
Un viaggio che si addentrava, con annessa mappatura, alla scoperta delle molte strade e onorificenze concesse ancora oggi ad alcuni esponenti di spicco del partito fascista e ai principali fautori delle sue dottrine antisemite. A partire da Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della Razza, cui questo infamante fardello non precluse la strada alla nomina, avvenuta nel 1955, a giudice della Corte Costituzionale.
A raccogliere l’appello di Pagine Ebraiche è stato per primo Umberto Eco, che all’inchiesta del giornale dell’ebraismo italiano ha dedicato ampio spazio in una delle sue mitiche Bustine di Minerva sull’Espresso. Scriveva Eco (17 luglio): “Leggo su Pagine Ebraiche un elenco commentato di illustri fascisti, razzisti e antisemiti, cui sono state dedicate strade in alcuni paesi: a Roma e a Napoli si è onorato Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della Razza, e si sono intitolate strade a Nicola Pende (Modugno di Bari, Bari e Modena), a Sabato Visco (Salerno), ad Arturo Donaggio (Roma e Falconara): e si tratta di tre persone che, pur essendosi rese famose in altri campi, hanno sottoscritto per primi nel 1938 il famigerato ‘Manifesto della razza’. Ma pazienza, è noto che in molti comuni sono andati al potere dei fascisti, e magari gli altri partiti, quando è stata fatta la proposta, non sapevano per niente chi fossero i signori cosi celebrati. Inoltre si potrebbe dire che tutti costoro avevano altrimenti meritato in vari settori e che si poteva perdonare loro il peccatuccio occasionale di un’adesione fatta magari per viltà, interesse o eccesso di zelo. Non abbiamo persino perdonato (o quasi) Heidegger, che pure nel nazismo aveva creduto? E, per giovane età o per cruda necessità (vivendo al nord), non avevano aderito in qualche modo alla Rsi personaggi amabili e giustamente amati come Oscar Carboni, Walter Chiari, Gilberto Covi, Gorni Kramer o Ugo Tognazzi? Ma nessuno di loro ha mai scritto o detto che si dovevano massacrare orto milioni di ebrei”.
Il nome di Azzariti, le sue responsabilità, la capacità di riciclarsi nell’Italia post-fascista, l’infamante busto commemorativo posto ancora oggi nel corridoio della Corte costituzionale, tornano d’attualità in queste ore grazie al giurista Massimiliano Boni, autore della monografia “Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale” in uscita a dicembre per la rivista Contemporanea del Mulino. Ieri, sul Corriere della sera, Gian Antonio Stella ha anticipato i contenuti salienti di un’opera destinata a lasciare una traccia significativa in ambito storiografico. Si chiede Stella nell’incipit: “Cosa ci fa il busto del presidente del Tribunale della razza nel corridoio nobile della Corte costituzionale? È insopportabile, dopo aver letto finalmente un’inchiesta stringente, documentatissima e implacabile sulla vita di Gaetano Azzariti, sapere che un uomo così arrivò, grazie alla lavanderia di Palmiro Togliatti, alla presidenza della Suprema Corte senza che alcuno gli rinfacciasse il ventennio passato a confezionare leggi su misura per il Duce e per la caccia all’ebreo”.
(5 novembre 2014)