Israele – Nuovi equilibri con Washington

obamabibiSonora bocciatura per il presidente Barak Obama e chiavi del Congresso – di entrambe le sue camere – in mano ai repubblicani. Questa la sentenza emersa dalle urne americane ieri notte. E mentre in molti analizzano i perché della sonora sconfitta democratica, in Israele si guarda al futuro: cambierà qualcosa nei rapporti tra i due paesi ora che a Washington il partito dell’Elefantino, vicino alle posizioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, rappresenta la maggioranza? Secondo Eytan Gilboa, docente di comunicazione alla Bar Ilan University ed esperto nelle relazioni Usa-Israele, è difficile fare previsioni su come agirà Obama nei due anni che gli rimangono alla guida degli Stati Uniti. La bocciatura delle elezione di mid-term, sottolinea Gilboa, riguarda soprattutto la gestione della politica interna da parte dell’inquilino della Casa Bianca, che nell’ultimo periodo si è di fatto disinteressato di cosa accadeva fuori dai confini nazionali. Le immagini di queste ore presentano un Obama solitario, barricato nello Studio Ovale e dietro a un temporaneo silenzio dopo la disfatta al Congresso. Per ridare smalto alla sua immagine, secondo il professor Gilboa – e non solo – il presidente americano potrebbe rivolgere la sua attenzione all’estero. E in particolare alla questione israelo-palestinese per cercare – come scrive Michael Wilner sul Jerusalem Post – di “rilanciare i colloqui di pace o almeno di prevenire la loro fine definitiva”. E vista la tragica evoluzione delle ultime ore, parlare di negoziati di pace al momento è impossibile con Hamas che non solo plaude all’attentato di poche ore fa a Gerusalemme – un uomo legato al movimento terroristico di Gaza ha investito diverse passanti, uccidendo una persona e ferendone oltre una decina – ma invoca ulteriore sangue.
Questa mattina, prima del terribile attentato nella capitale, l’ambasciatore Usa in Israele Daniel Shapiro aveva ribadito, in un’intervista alla radio dell’esercito israeliano, il rapporto di amicizia che lega gli Stati Uniti allo Stato ebraico. Questo, nonostante le critiche dell’amministrazione Obama alla politica sugli insediamenti del primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu. Tra i due notoriamente non corre buon sangue e ora, sottolinea il sito di informazione Arutz Sheva, Netanyahu può contare sul forte appoggio dei repubblicani al Congresso di fronte alle pressioni della Casa Bianca. D’altra parte è proprio in materia estera, come scrive Chemi Shalev su Haartez, che Obama ha le mani più libere ed quindi difficile pronosticare come si muoverà. Secondo l’analisi di Gilboa, il presidente Usa dovrà trovare una mediazione sulla questione del nucleare iraniano (da mesi vanno avanti le trattative con Teheran) perché nessuna decisione potrà essere presa senza il via libera del Congresso. I repubblicani sono vicini alle richieste di Netanyahu, che vuole nuove sanzioni contro l’Iran e ha sempre guardato con sospetto la politica di apertura americana nei confronti della Repubblica islamica dell’ayatollah Komehini. Anche tra le fila democratiche, la politica di Obama sull’Iran non sembra riscontrare successo, per questo il presidente potrebbe cambiare strategia.
Altro situazione da affrontare, la minaccia dell’Isis. Nella lotta contro le milizie del Califfato, spiegava Shapiro questa mattina, Stati Uniti e Israele sono fianco a fianco. Potrebbe però cambiare la modalità di intervento americana: secondo i repubblicani, Obama ha agito in modo troppo debole contro l’Isis e c’è chi vuole un intervento più aggressivo. Anche qui resta il punto interrogativo sulle prossime mosse presidenziali.
Infine la questione israelo-palestinese. L’ex ambasciatore israeliano in Usa Yoram Ettinger aveva preannunciato al sito Arutz Sheva come una nuova configurazione del Congresso con maggioranza repubblicana sarebbe andata a incidere in particolare sugli aiuti ai palestinesi. Per Ettinger “i repubblicani cercheranno più dei democratici di usare gli aiuti come leva sull’Autorità palestinese”, invertendo di fatto la pressione da Netanyahu ad Abu Mazen.
Mancano due anni alla fine dell’era Obama. Il Medio Oriente potrebbe essere la via per riscattare la sua immagine in declino. Potrebbe.

Daniel Reichel

(5 novembre 2014)