Qui Milano – Tradurre Primo Levi
La Memoria come dovere civico in particolare in un momento storico come quello attuale in cui la “zona grigia” di cui parlava Primo Levi “ci appare vasta, tanto che ci sentiamo un po’ smarriti”, con nuove forme di razzismo e xenofobia che nascono da degenerazioni di forme di protesta contro il sistema e la sua possibilità di trovarne di nuove anche in rete. Così il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano e direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli ha dato il benvenuto alla Lezione Primo Levi, quest’anno dal titolo “In un’altra lingua”, a cura del Centro internazionale di Studi Primo Levi, replicata ieri pomeriggio a Milano dopo il successo torinese, grazie all’organizzazione da parte dell’Associazione Figli della Shoah e l’ospitalità dell’auditorium del Memoriale della Shoah di Milano, in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera. Al centro della lezione l’edizione americana delle opere complete di Primo Levi (ed. Norton-Liveright), a cura di Ann Goldstein, editor del New Yorker e traduttrice americana di molti scrittori italiani tra cui Leopardi ed Elena Ferrante, presente per illustrare il suo lavoro. Accanto a lei Domenico Scarpa, linguista e consulente letterario del Centro Primo Levi, che ha dato il suo contributo anche a questa nuova traduzione, che per la prima volta negli Stati Uniti riunisce integralmente l’opera dello scrittore italiano in lingua inglese. “È sempre utile approfondire e scavare nell’opera di Primo Levi, un giacimento estremamente ricco che può dare risposte a molte domande della realtà di oggi, e per questo siamo fieri di aver portato questa lezione anche a Milano”, ha sottolineato nel suo saluto Fabio Levi, direttore del Centro. Così il pubblico, composto in parte da giovani studenti, ha potuto farsi guidare da Ann Goldstein nei processi lenti e ondeggianti della traduzione, fatta di un numero che tende all’infinito di scelte tanto piccole quanto radicali, in un elegante equilibrio tra fedeltà e responsabilità. “La difficoltà nel tradurre Levi sta proprio nell’importanza esistenziale che per lui aveva la lingua, che lo portava a scegliere sempre le parole giuste con estrema cura, in un’essenziale concisione che è tipica del suo stile”, ha spiegato Goldstein. E proprio sul valore capitale della lingua per Levi si è soffermato l’intervento di Domenico Scarpa, che tra le altre cose ha analizzato il repertorio stilistico dello scrittore. “Levi parla la stessa lingua di Dante, in un gioco di riferimenti dichiarati o meno e di utilizzo di linguaggi tecnici per creare nuove metafore, in uno scambio perpetuo tra scienza e letteratura”, ha illustrato Scarpa. “Levi ha dunque a disposizione in modo naturale il laboratorio chimico e Aushwitz, riuscendo, con la creazione di un linguaggio sublime, come Dante era riuscito a raccontare il Paradiso, a sfatare l’ineffabilità di quegli orrori”.
Francesca Matalon
(5 novembre 2014)