Qui Trieste – Il bene della Memoria
Non c’è identità senza Memoria. Non c’è Memoria senza analisi storica, scientifica, sociologica, psicologica. Storici e scienziati mettono da oggi banco di prova delle diverse discipline le sofferenze delle popolazioni europee strette nella morsa delle dittature e dei conflitti che hanno stravolto il Novecento. E lo fanno confrontando e intersecando i risultati del proprio lavoro di ricerca. Innumerevoli e disparati gli spunti che emergono già nelle prime ore dell’incontro. Ma quello che emerge, al di là dell’interesse delle singole relazioni, è il significato del lavoro che la Provincia di Trieste, con l’istituzione del Laboratorio permanente sulla memoria e sull’uso della storia, ha da tempo avviato. Un percorso teso a promuovere ed approfondire la riflessione attorno a tematiche storiche con riguardo al Novecento, epoca particolarmente significativa per in particolare per un territorio cerniera, ferita aperta, punto d’incontro e punto d’attrito fra le diverse identità d’Europa.
Fortemente voluto dallo storico Giacomo Todeschini, dell’Università di Trieste e coordinato nella sua prima giornata da Marta Verginella, Università di Lubiana, Anna Maria Vinci, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste e Maria Cristina Benussi, Università degli Studi di Trieste, il convegno si sta articolando su numerose relazioni.
Urška Strle, dell’Università di Lubiana, ha affrontato il tema della Migrazione illegale all’Isontino verso l’Italia: il problema della perdita delle proprietà.
È stata poi la volta dello storico Mario Toscano, Università di Roma La Sapienza, che ha parlato di Espropri e restituzioni dei beni ebraici in Italia dalle leggi razziali alla Repubblica.
In una relazione ricca di spunti è emerso chiaramente che, al di là della drammatica lotta per la sopravvivenza, il problema della spoliazione dei beni degli ebrei italiani resta ancora largamente da esplorare, superando una ritrosia e un velo di silenzio che ancora oggi, a così lunga distanza di tempo, non è stato del tutto superato. Studi tardivi, reticenze e mancanza di chiarezza anche da parte della pubblica amministrazione, hanno pesantemente segnato le vicende e l’emotività dei sopravvissuti. La storia e il bilancio di questa sofferenza degli ebrei italiani resta ancora largamente da scrivere eppure questa ricerca resta un passaggio fondamentale per comprendere la nostra società contemporanea.
I lavori sono proseguiti con la relazione di Lara Magri, del Museo etnografico di Malborghetto, Udine dedicata ai trasferimenti forzati nel 1939 delle popolazioni di lingua tedesca della Valcanale.
“Nel novembre del 1918 – ha spiegato – le truppe italiane fecero il loro ingresso in valle, trovando un territorio devastato dai 4 anni di guerra precedenti. La vittoria dell’Italia sull’impero Austro Ungarico sancì, col trattato di San Germano il definitivo passaggio del Kanaltal al Regno d’Italia. Il massiccio afflusso di italiani determinò nei residenti un forte senso di smarrimento e una prima ondata di emigrazioni. Gli anni successivi videro l’affermarsi della politica fascista con la conseguente opera di italianizzazione forzata del territorio”.
Alla memoria sommersa. Perdita di beni e perdita di identità nell’abbandono delle colonie italiane è stata dedicata la relazione Chiara Volpato, Università degli Studi di Milano – Bicocca.
“Il senso della perdita o dello smarrimento dei beni economici – ha poi spiegato il professor Giacomo Todeschini nella sua relazione ‘La memoria delle perdite economiche in epoca preindustriale’ – è, storicamente, strettamente dipendente da come sono percepite e vissute la ricchezza e la povertà da parte delle società di cui gli individui fanno parte. In epoca preindustriale la memoria della perdita dei beni economici determinata da guerre, carestie, catastrofi naturali o eventi politici (come per esempio l’esilio, il bando, l’imprigionamento) era direttamente connessa all’identità civica e giuridica del gruppo a cui apparteneva chi si trovava ad essere privato delle cose. La memoria della perdita dei beni economici era dunque particolarmente viva e testimoniata da parte di coloro, per secoli una minoranza ristretta, che appartenevano alle élites territoriali. Nel caso invece di coloro, la maggioranza, che facevano parte dei gruppi più poveri o dei gruppi costantemente minacciati dall’impoverimento, la memoria della perdita tendeva a confondersi con la rappresentazione o con la memoria di una condizione di vita abituale, segnata cioè costantemente dal sentimento della privazione e della mancanza”.
Con la relazione Salvare i beni, salvare la vita: ebrei a Roma sotto l’occupazione, la storica Anna Foa, ha portato l’attenzione su un tema molto vivo e dolente nella storia della maggiore realtà ebraica in Italia.
“Contano di più – si è chiesta la storica – i beni, le cose, o la vita? E da che cosa dipende la scelta delle priorità, dalla povertà o da altri elementi meno materiali, maggiormente legati all’identità? Le testimonianze degli ebrei romani scampati al 16 ottobre ci mettono continuamente di fronte a casi in cui i beni materiali, la “robba” diventano più importanti, si potrebbe pensare, della vita stessa. Ragazze che tornano nelle case abbandonate per nascondersi, a rischio di essere arrestate, per recuperare qualche oggetto, un lenzuolo o delle posate. Esposti e denunce del dopoguerra in cui i sopravvissuti accusano le spie tanto di aver denunciato i loro cari che di averli derubati dei mobili, dei beni che avevano nascosto, delle biciclette. Lettere dalla Torino del 1945 riportano lunghi elenchi di beni e di parenti ed amici perduti. In ogni testimonianza si parla dello stato in cui si è ritrovata la propria casa abbandonata, se distrutta e svuotata o preservata e senza danni. Sembra quasi che di fronte al disastro che li ha inghiottiti i sopravvissuti abbiano trasferito negli oggetti, nei beni rimasti, nella maggior parte dei casi povere cose, la loro stessa identità. E ritornare agli oggetti consolida il senso di essere sopravvissuti e genera la continuità tra il prima e il dopo”.
Ai beni abbandonati dai regnicoli. Le proprietà degli immigrati italiani nella Trieste
asburgica durante e dopo la Grande guerra era dedicata la ricerca di Franco Cecotti, dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione.
I lavori proseguono spaziando dalla relazione della professoressa Nina Vodopivec dell’Università di Lubiana (Memoria e appartenenza: la narrazione degli operai tessili nella transizione slovena postsocialista) a un intervento di un esponente palestinese, Sari Nusseibeh dell’Università Al-Quds di Gerusalemme, dedicato alla memoria nel quadro del conflitto mediorientale.
lp
(Nell’immagine la presidente della Pronvincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat apre i lavori assieme alla storica Marta Verginella dell’Università di Lubiana).
(6 novembre 2014)