Ticketless – Lion Feuchtwanger
Non riproduco la brutta copertina scelta per la riedizione del romanzo di Feuchtwanger, I fratelli Oppermann (Skira). Sarebbe controproducente (prima o poi ritornerò sulla grafica delle copertine di romanzi sugli ebrei che fanno bella mostra di sé nelle librerie di oggi). Qui vorrei soltanto segnalare l’importanza di questo scrittore e metterlo accanto ad altri autori a lui affini. Come potremmo definire i loro libri? Romanzi-presagio. Che cosa unisce capolavori come questo, usciti negli anni Trenta, capaci di antivedere la catastrofe? Si moltiplicano i romanzi scritti dopo la Shoah. Manca un semplice elenco di libri – come si dice in Francia, mutuando il lessico della psicoanalisi – scritti avant coup.
Un primo, provvisorio elenco: il ciclo di Solal di Albert Cohen; naturalmente Kafka, nelle prime traduzioni italiane di alcuni pionieri della germanistica nostrana, quasi tutti antifascisti doc; la “casa dei morti” di Dostoevskij; una certa letteratura francese più leggera (Vercors, Il silenzio del mare è del 1942), che sotto un manto di frivolezza nascondeva l’orribile volto della catastrofe incombente. “Scrivere dopo” è più facile che “scrivere prima”. Anche nel cinema bisognerà guardare agli anni Trenta filmati da registi-Cassandre (I due mondi di Ewald A. Dupont inquietò Tania Schucht, che ne scrisse a Gramsci in carcere). Diversa la situazione in questo romanzo di Feuchtwanger, meno popolare, ma forse più bello: scritto e pubblicato nel 1933 mentre Hitler saliva al potere. Lo aveva stampato un ebreo portoghese che aveva una casa editrice ad Amsterdam, Emanuel Querido. La presente riedizione, orribile copertina a parte, riproduce, salvo minuscole modifiche formali, l’ottima traduzione di Ervino Pocar. Bisogna immedesimarsi nel lettore ebreo italiano del tempo; tutto è come sospeso su un filo, di qui il disorientamento. Tra questi il nostro maggiore scrittore après coup, Primo Levi, che dirà, in una pagina del Sistema periodico: “Avevamo letto I fratelli Oppermann di Feuchtwanger, importato nascostamente dalla Francia, in cui si descrivevano le ‘atrocità naziste’; ne avevamo creduto una metà, ma bastava”.
Alberto Cavaglion
(12 novembre 2014)