…Medio-Oriente
La complessità del conflitto in Siria e in Iraq travolge schieramenti consolidati e mette in discussione certezze che parevano granitiche. Il Medio Oriente sta cambiando fisionomia, i confini inventati dopo la fine della Grande Guerra non esistono più (se mai hanno avuto un significato) e la prima vittima di tutto questo sembra essere la coerenza di numerosi attori, fuori e dentro la regione. Partono dal Veneto i giovani dei centri sociali, destinazione Kobane. Un campo di solidarietà per attestare la loro vicinanza a chi combatte “contro i fascisti dell’ISIS e contro il governo turco”. Sono gli stessi – per intenderci – che qualche anno fa inneggiavano alla Flotilla che veleggiava in direzione di Gaza, sponsorizzata dallo stesso governo turco che supportava il regime islamista di Hamas. Onore al merito, dico io, almeno negli anni hanno imparato a correggere il tiro e a identificare meglio i loro obiettivi politici (anche se temo che prevalga ancora una certa confusione e una scarsa conoscenza delle dinamiche mediorientali). Supportando i Kurdi si renderanno conto dei consolidati rapporti che gli stessi intrattengono da decenni con qualsiasi governo israeliano, ben descritti in un documentato articolo di Ofra Bengio su The Middle East Quarterly. Supporto politico, addestramento militare, fornitura di armi e informazioni di intelligence da parte di Israele, che in cambio acquista il petrolio che il Kurdistan iracheno ormai vende in maniera autonoma. D’altra parte non sono solo i ragazzi dei centri sociali ad essere confusi. Anche Israele ci mette del suo. Ultimamente i drusi (sia siriani, sia israeliani) hanno fortemente protestato perché gli ospedali del nord di Israele hanno democraticamente curato i feriti di tutte le fazioni siriane, compresi membri del fronte ‘Al-Nusra, notoriamente legato ad Al Qaeda. Sono evidenti i tentennamenti della politica estera israeliana sul fronte siriano, decisamente giustificati dalla confusione e dalla mancanza di chiarezza nelle guerre che si stanno intrecciando nella regione. Ma questa rottura dello status quo dovrebbe suggerire al governo Netanyahu un più deciso e coraggioso passo verso la riapertura di trattative definitive con l’Autorità Palestinese (che ormai è uno stato a tutti gli effetti, con i suoi pregi e i suoi difetti). Chiudere questa pluridecennale partita sulla base di accordi internazionalmente riconosciuti e garantiti consentirebbe a Israele di uscire una volta per tutte da un isolamento che in Medio Oriente non ci si può più permettere. Significherebbe poter consolidare un’alleanza che già c’è nei fatti con Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Significherebbe riportare a una progressiva normalità la convivenza fra israeliani e palestinesi che non possono più sopportare il crescente clima di paura e diffidenza che proprio in questi giorni sta montando, alimentato da estremisti di ambo i fronti che sembrano avere come unico obiettivo comune l’aggiungere violenza a violenza.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(14 novembre 2014)