Venezia, al via il restauro del Ghetto

rassegna“La scadenza è tassativa: il 2016. Una corsa contro il tempo per trovare dodici milioni di dollari e per completare i lavori di restauro del Ghetto di Venezia, uno dei più antichi d’Europa, in vista delle celebrazioni del cinquecentenario dalla disposizione del Governo della Serenissima di confinare gli ebrei in una zona circoscritta della città lagunare”, questo l’incipit di Veronica Tuzii sul Corriere del Veneto che introduce la raccolta fondi lanciata da Venetian Heritage, organizzazione no profit con sede a New York e Venezia. Un’iniziativa che ha l’appoggio del presidente della Comunità ebraica di Venezia Paolo Gnignati e vede impegnati nell’impresa degli sponsor d’eccezione: “L’immobiliarista Joseph Sitt, nota stilista Diane von Furstenberg e Toto Bergamo Rossi, rispettivamente presidente, vicepresidente e direttore del Venetian Heritage Council”. Un piano di ristrutturazione ambizioso e studiato con attenzione che coinvolgerà: “una compagine cosmopolita di progettisti, architetti e designer, che lavoreranno sotto la supervisione della Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia Renata Codello, per il risanamento di tre delle cinque sinagoghe ancora esistenti nel Ghetto di Venezia (nel 1719 erano ben nove), ovvero la Scuola Grande Tedesca, la Scuola del Canton e la Scuola Italiana, edifici cinquecenteschi tanto sobri all’esterno quanto sontuosi all’interno”. Ha dichiarato infine von Furstenberg: “Questa iniziativa è dedicata a preservare il passato della comunità veneziana ed ebraica, assicurando alle generazioni future l’accesso per altri 500 anni a queste testimonianze di cultura umana e di progresso”. Sempre sul Corriere del Veneto, Fabio Bozzato disegna un viaggio nell’antico ghetto, ritraendo gli abitanti: “Aveva 12 anni la signora Palmira quando ha cominciato a lavorare nel panificio di Giovanni Volpe, aperto nel 1954. Ora ne ha 60 e con un sorriso sfoggia pagnotte e pasticcini kosher”. Si passa poi, dalla comunità Lubavitch, alla galleria d’arte Ikona: “Ziva Krauss l’ha fondata nel 1979 ma è solo dal 2003 che l’ha portata in Ghetto Nuovo. Dedicata alla fotografia, ora ospita David Weber, un giovane veneziano di base a Parigi. ‘Era una vecchia falegnameria, in condizioni disastrose. Allora non c’erano tutte queste attività né il fiume Lo studioso È il primo Ghetto ma a differenza di Roma, la Serenissima non ha mai annichilito gli ebrei di turisti’. Il Ghetto è un luogo che da 500 anni cambia continuamente.” Un percorso che si conclude con le parole del rabbino capo Scialom Bahbout che racconta di come abbia trovato una comunità ebraica vivace e che ama le tradizioni.

Su L’Espresso Gigi Riva affronta la drammatica nuova frontiera del terrorismo palestinese: il fenomeno dei cosiddetti ‘lupi solitari’, uomini che colpiscono singolarmente civili, investendoli con macchine e van o aggredendoli con i coltelli. Lo spettro della terza Intifada si fa dunque sempre più concreto: “Stavolta ci sono macchine, coltelli e pietre, cioè tutto quanto si può trovare a portata di mano perché di apparente uso innocuo quotidiano: dal muro di separazione non passano bombe, fucili e pistole. In Cisgiordania come a Gerusalemme si ingegnano come possono, come già fecero a Gaza coi tunnel per penetrare in area nemica essendo off limits la terra e il cielo. Oscurato dalle riprese dello Stato Islamico, il conflitto israelo-palestincse si riprende la scena in modo improvviso, non per questo inaspettato”. “Israele – sostiene Riva -invoca il diritto (sacrosanto) alla sicurezza per giustificare ogni repressione. Senza rendersi conto che nessuna sicurezza porrà mai essere garantita se i palestinesi non avranno sovranità su un loro fazzoletto di terra e se non si uscirà dalla logica, comunque perdente, dell’azione-reazione”.

A fare i conti in tasca ai gruppi estremisti ci pensa la versione israeliana di Forbes, che decreta l’Isis come il più ricco, a discapito di Al Qaeda. Su la Stampa, l’analisi di Maurizio Molinari: “In vetta, irraggiungibile, c’è lo Stato Islamico (Isis) ovvero il Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi che, in un tempo record – meno di 24 mesi – ha creato una «formidabile macchina raccogli-denaro» come spiega Aymenn Jawad Al-Tamimi, arabista dell’Università di Oxford, sommando le donazioni private del Golfo all’imposizione di dazi sulle merci in transito nei territori conquistati ed alla vendita del greggio, che è la vera ragione di un primato davvero storico perché nessun gruppo terroristico ha mai avuto tanti soldi nelle casse”. Hamas detiene la seconda posizione grazie a “un sofisticato sistema di tasse, dazi e tariffe che ha creato da quando, nel 2007, ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. Il miliardo di dollari che possiede è frutto dell’«Iva» che Hamas impone sul commercio nei tunnel sotterranei – chiusi dall’Egitto sono lo scorso luglio – e di una miriade di tasse che preleva dai residenti: dalle imposte sulle auto (366 dollari l’anno) ai versamenti richiesti a ristoranti, negozi, pescatori e qualsiasi altra attività commerciale. Hamas può inoltre contare su «fondi umanitari e delle ong» che, secondo «Forbes», riesce a stornare dai finanziamenti internazionali destinati ai civili”.

Dopo aver fatto credere al mondo di essere scomparso ed essere stato ferito da i raid Usa, torna a parlare Al Baghdadi, il Califfo dell’Isis che lancia una minaccia in un audio diramato: “La jihad arriverà a Roma”. A riprendere la notizia anche la Repubblica: “Lo sceicco del terrore — o chi per lui — vuole mostrarsi in forma, tanto che azzarda: La marcia (dell’Is) non si fermerà finché avremo raggiunto Roma. O musulmani tranquillizzatevi, il vostro Stato è in buona salute”. E aggiunge (come riporta il Giornale): “Presto gli ebrei e i crociati saranno costretti a venire sul terreno. Ad inviare sul campo le loro forze, che sono destinate a morire e a venir distrutte”.

L’Egitto continua ad essere sotto attacco. A ricostruire la situazione Carlo Panella su Libero: “Spaventosa giornata di attentati in Egitto: il più grave e inquietante è avvenuto, 45 miglia al largo del porto di Damietta, nella zona del Canale di Suez, quando una motovedetta militare egiziana è stata attaccata da una flottiglia di barchini di terroristi. Gravissimo il bilancio dell’arrembaggio a colpi di granata: 8 marinai egiziani morti o dispersi e 5 feriti (…) il fatto politicamente più rilevante è che i Servizi egiziani, a seguito delle prime indagini che hanno portato all’arresto di 32 sospettati a Damietta, hanno diramato note ufficiose con le quali attribuiscono la responsabilità dell’arrembaggio terroristico addirittura alla Turchia”. “I terroristi – continua Panella – avrebbero attaccato la nave militare egiziana per punire il Cairo del recente accordo siglato con Israele, Grecia e Cipro per il pattugliamento marittimo delle coste a largo di Cipro in cui si sta perforando il gigantesco giacimento di metano Leviathan”.

Ieri in occasione dell’evento culturale BookCity, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha consegnato allo scrittore israeliano David Grossman il Sigillo della città in occasione. Su il Giornale le motivazioni del riconoscimento: “Per il suo rapporto molto speciale con l’Italia ed in particolare Milano che nel corso degli anni è stata spesso il luogo dove ha presentato i suoi libri circondato dall’affetto e dal sostegno dei suoi numerosi lettori italiani”. Il Corriere della Sera riporta poi le parole di Grossman che ha esclamato divertito: “Se uno di voi resta chiuso fuori, può rivolgersi a me”.

Arriva dalla Francia la notizia che il comico Dieudonné, accusato a più riprese di antisemitismo, ha fondato un partito ‘anti-sistema’. Scrive oggi Avvenire: “il nuovo partito, ‘Riconciliazione nazionale’, che si pone come alternativa al Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che secondo lui ‘ormai è entrato del sistema ‘. L’attore, che non può essere eletto, ha fondato il partito antisistema con Alain Soral, scrittore a sua volta condannato per antisemitismo”.

Aldo Cazzullo intervista sul Corriere della Sera, in occasione dei suoi 80 anni, l’ingegnere Carlo De Benedetti. Un ritratto a tutto tondo che non manca di evidenziare i momenti più amari: “A 10 anni ero in un campo di concentramento svizzero. Nulla di paragonabile a Mauthausen, dove morirono i miei cugini. Però la doccia fredda all’alba d’inverno, senza asciugamani, con soltanto la paglia dove dormivi per asciugarti, l’ho provata. (…) Mio padre faceva tenere a mio fratello Franco e a me un album di ritagli con le notizie della persecuzione degli ebrei e le foto dei campi di concentramento. Chiedemmo perché dovessimo farlo. Lui rispose: Perché un giorno qualcuno dirà che tutto questo non è successo”

Su Avvenire la recensione del libro di Israel Finkelstein “Il regno dimenticato” (ed. Carocci). Professore di archeologia all’Università di Tel Aviv, Finkelstein: “studia la Bibbia ebraica come gli storici studiano il Nuovo Testamento, ovvero sottoponendola a un vaglio critico che cerca conferma nell’archeologia. È un metodo che si usa da tempo e gli archeologi israeliani godono di fama di notevole indipendenza e libertà da questo punto di vista. Finkelstein ha avanzato teorie molto discusse, avendo in parte rivisto il disegno della storia dell’antico Israele spaziando dall’epoca dei Patriarchi sino al Regno di Davide”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(14 novembre 2014)