…fuga

Questa mattina un altro attentato a Gerusalemme, e altri morti. Non su un campo di battaglia, ma in piena città, all’interno di una sinagoga. Si leggono in questi giorni articoli di stampa sulle migliaia di israeliani che hanno lasciato Israele negli ultimi anni. Non è un argomento da celebrare, me ne rendo conto benissimo, e non è neppure una scelta patriottica. Ma si può, è corretto, è umano considerarlo un tradimento? È giusto etichettarlo da un punto di vista meramente e fanaticamente ideologico? È onesto indicare la fuga come dovuta a puri interessi economici? Abbiamo tutti amici e parenti che vivono le loro giornate nell’ansia per i figli che hanno portato all’asilo o che stanno prendendo un autobus. Non è naturale voler vivere in pace, senza dover trascorrere i propri giorni nell’attesa della notizia che devasterà il resto della tua vita? Chi ha il coraggio arrogante di condannare chi rincorre la vita contro l’estremismo delle ideologie contrapposte? La fuga da Israele dovrebbe forse dire a chi decide il destino del paese che non esiste alternativa alla pace, comunque la si ottenga e qualsiasi sia il prezzo da pagare. Un prezzo che dovranno pagare tutti. Il tornaconto della pace non può far rimpiangere nessun principio fondamentale, nessuna ideologia, nessun odio viscerale.

Dario Calimani, anglista

(18 novembre 2014)