Gerusalemme, cinque vite spezzate
Le immagini che hanno fatto il giro del mondo rappresentano scene di violenza inaudita: un’ascia abbandonata, delle tefilloth, i libri di preghiera, macchiati di sangue. E poi quei talledot. Dei talledot riversi a terra che avvolgevano i corpi delle vittime, dei mantelli bianchi che coprivano l’assassinio perpetrato da due cugini palestinesi di Gerusalemme Est, che ieri mattina hanno fatto irruzione nella sinagoga di Har Nof durante Shachrit ed hanno compiuto una delle stragi più agghiaccianti degli ultimi anni. Racconta alla Stampa il capo di Zaka, il gruppo di volontari che recuperano il resto dei corpi delle vittime, Meshi Zahav: “Abbiamo affrontato attentati con più vittime ma davanti a una sinagoga con il sangue ovunque, libri di preghiera in terra, talledot strappati ho pensato alla Shoah”. Quei talledot a terra sono schiaffi in pieno viso ed i corpi che celavano racchiudevano la vita di quattro uomini, che come ogni giorno erano andati in sinagoga per innalzare la loro preghiera di pace: Rabbi Aryeh Kopinsky, 43 anni, Rabbi Avraham Shmuel Goldberg, 68, and Rabbi Kalman Levine di 55 anni e Rabbi Moshe Twersky, 59. I funerali sono stati fatti il pomeriggio il pomeriggio stesso nel cimitero di Ghivat Shaul. Nel tenativo di salvare i fedeli, ha poi perso la vita il poliziotto druso Zidan Saif, colpito da uno dei due attentatori.
Nato e cresciuto a Detroit, Rabbi Aryeh Kopinsky, faceva parte della grande congregazione ebraica ortodossa Young Israel di Oak Park. I suoi genitori insegnavano alla Wayne State University e fecero l’aliah in Israele quando Aryeh aveva dieci anni. Rabbi Kupinsky lavorava con i computer e frequentava assiduamente la sinagoga nella quale è stato ucciso. Nella biografia a lui dedicata sul sito del governo israeliano, viene ricordato come “una persona che non si rifiutava mai di aiutare gli altri e che cercava sempre di portare assistenza”. Lascia dietro di sé cinque figli e un’altra terribile tragedia: la morte della figlia Chaya Chana morta due anni fa nel sonno.
Il Mirror dedica un articolo a Rabbi Avraham Shmuel Goldberg, originario di Liverpool: “prima di trasferirsi in Israele – riporta – visse per un periodo nel quartiere ebraico londinese Golders Green”. David Osborne, suo migliore amico, lo ricorda con parole speciali: “Era la persona più straordinaria che si potesse incontrare, il pilastro della comunità. L’unica cosa che desiderava era vivere un’esistenza pacifica. La sua famiglia è meravigliosa”. Lascia sei figli e nipoti. Nel ’77 l’americano Rabbi Kalman Levine aveva trascorso due anni a studiare in Israele. Un breve ritorno per finire il percorso alla Yeshiva University di Los Angeles e si trasferisce a Gerusalemme, senza lasciarla mai più. Sul sito del governo un ricordo dei conoscenti: “Rabbi Kalman era un giusto, era sempre l’ultimo a lasciare la sinagoga e il primo a ritornare all’alba. Dormiva poco ed aveva sempre un libro a portata di mano”. La sua missione era quella di studiare, approfondire, era completamente devoto agli insegnamenti della Torah. “Aveva un brillante senso dell’umorismo e amava scherzare” ricorda il suo amico d’infanzia Shimon Kraft. Il figlio, Rabbi Yerachmiel, gli ha dedicato queste parole: “Mio padre studierebbe Torah tutto il giorno fino ad addormentarsi sulla sedia a notte fonda. Abba stavi dicendo lo Shemah quando la tua anima ha lasciato il corpo e i terroristi ti hanno assassinato”. A dedicare un ricordo di Rabbi Moshe Twersky, il New York Times: “Era discentente di una delle più antiche dinastie hassidiche d’Europa, un ponte che connette la tradizione e il modern Orthodox con la ramificazione che enfatizza l’importanza dell’insegnamento”. Il nonno era il rebbe di Boston, il padre Isadore Twersky, un uomo di profonda cultura, ebraica e secolare, diventò il capo del dipartimento di studi ebraici ad Harvard e si sposò Atarah Soloveitchik, la figlia del grande Rabbi Joseph Soloveitchik. “Un padre – spiega il professore Samuel Heilman della City University di New York – che indossava tre corone”. Rabbi Moshe Twersky fece l’aliyah nel 1990. Sua moglie è la figlia di Rabbi Abba Berman e dirige Hadar Seminary for Women. A pronunciare l’elegia durante il suo fuonerale Rabbi Shmuel Aurbach, leader della comunità ortodossa lituana: “Moshe è stato un uomo giusto durante tutta la sua vita, non lo diventa con la sua morte. Era vicino a D-o”. “Una notte – ha ricordato il figlio – mi sono svegliato alle due e l’ho trovato ancora intento a studiare”. Una delle cinque vittime, non era in preghiera, ma è morto da eroe: il poliziotto druso di trent’anni Zidan Saif, è stato ucciso nel tentativo di disarmare gli attentatori. La comunità haredi ha messo a disposizione dei bus per far partecipare le persone al suo funerale, celebrato oggi a Yanuh-Jat. Ariella Shternbach, promotrice dell’iniziativa ha dichiarato: “Ho visto la foto di Saif con la sua piccola bambina. Mi ha commosso pensare che abbia sacrificato la vita per gli ebrei. Il nostro dovere è porgere i nostri rispetti”. Zidan Saif è stato il primo a raggiungere la sinagoga nel quale si consumava il delitto, è stato colpito alla testa da uno dei terroristi. Per ore i medici dell’Hadassah hanno cercato di salvarlo ma senza speranza. Lascia orfana una figlia di sette mesi. La polizia israeliana ha lanciato con un tweet il messaggio: “Che il ricordo di Saif sia di benedizione”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(19 novembre 2014)