Periscopio – L’asino che vola
Appare davvero difficile esprimere con freddezza i sentimenti di esecrazione, rabbia, disgusto suscitati dall’orribile strage perpetrata nella sinagoga di Har Nof: un eccidio che segue una sanguinosa scia di attentati che, nelle ultime settimane, ha seminato morte e terrore nelle strade di tutta Israele, con una macabra esibizione di fantasia criminale da parte di vasti e organizzati gruppi di assassini, forti, a quanto pare, di un larghissimo consenso tra masse imbevute di fanatismo e ignoranza, a cui, fin dalla più tenera età, non è stata mai insegnata altra parola all’infuori del verbo ‘odiare’. Automobili, gru, asce, pistole, razzi, pugnali: tutto va bene per colpire, tanto meglio se si tratta di bambini, di donne, di anziani, di rabbini in preghiera, di madri col carrozzino. È evidente che, al di là dell’obiettivo immediato, che è quello di seminare morte, dolore e distruzione, l’offensiva terroristica si prefigge un altro, più ampio fine, che è quello di tracciare un incolmabile solco di paura, diffidenza, inimicizia tra i diversi popoli del Medio Oriente, un insuperabile muro di odio e ostilità che faccia vedere in ogni ebreo una potenziale vittima sacrificale e in ogni arabo un potenziale aggressore; che renda assurdo, blasfemo, grottesco ogni sia pur minimo accenno a un possibile, ipotetico, teorico spiraglio di dialogo, di confronto.
Quanto ai protagonisti in campo, i terroristi di Hamas fanno quello che dicono e dicono quello che fanno, li si può accusare di tutto tranne che di incoerenza.
Riguardo all’Autorità Palestinese, la sua condanna dell’episodio, giunta dopo una feroce, massiccia, capillare propaganda di odio e criminalizzazione, gronda della solita ipocrisia, funzionale esclusivamente a tenere buone le cancellerie occidentali, nel timore (probabilmente infondato) che un aperto appoggio ai massacri possa in qualche modo affievolire l’incrollabile simpatia dell’Occidente: tutti sanno che, qualora i responsabili venissero arrestati e poi, magari dopo qualche anno, rilasciati, verrebbero accolti come eroi.
Ma, per quel che riguarda l’Europa, queste preoccupazioni appaiono fuori luogo, perché la sua devozione alla “causa palestinese” è, come detto, incrollabile: qualcuno dovrebbe spiegare perché mai, in virtù di quale tortuoso ragionamento le autorità palestinesi dovrebbero sentirsi sollecitate a intraprendere una qualche minima misura di contrasto alla violenza, se ogni lancio di razzi, ogni assassinio, ogni rapimento, ogni aggressione militare viene sempre, puntualmente premiato con il solito, reiterato auspicio dei “due popoli, due stati”, senza che mai nessuno osi chiedere se lo stato nascituro non sia per caso destinato a fungere da quartiere generale degli organizzatori della spedizione di Har Nof, e da nient’altro.
Quanto all’America, diventa, di giorno in giorno, sempre più ‘europea’. Era necessario un Presidente afroamericano perché ciò avvenisse. Auguri.
Dai Paesi arabi non giungono che lugubri immagini di decapitazioni e tetri proclami di violenza. E l’Iran ‘sdoganato’ torna al linguaggio di sempre.
Resta da menzionare Israele: il suo popolo, il suo governo, le sue istituzioni.
È di pochi giorni fa la notizia di un giovane ebreo processato per avere lanciato una pietra conto un’automobile araba. Tutti sanno come il lancio di pietre contro gli ebrei sia, da sempre, un titolo di merito e di onore per la popolazione palestinese, nonché un gesto salutato con comprensione o ammirazione da larghissima parte delle opinioni pubbliche occidentali, come un fiero segno di coraggio e resistenza. L’idea che un lanciatore di pietre sia processato, non solo a Gaza, ma anche a Ramallah, è altrettanto verosimile dell’immagine di un asino che vola. In Israele, è del tutto normale che accada, anche se, probabilmente, nessun Paese al mondo, sottoposto a una siffatta, travolgente campagna di odio e aggressione, riuscirebbe a conservare, nonostante tutto, un tale standard di civiltà.
La pace in Medio Oriente, cara Europa e cara America, non si avrà con la nascita del fantomatico “stato palestinese”, ma più banalmente, il giorno in cui una prigione palestinese si aprirà, almeno una volta, per accogliere, se non un lanciatore di sassi, almeno un pluriassassino. Una cosa tanto normale, tanto assurda.
Francesco Lucrezi, storico
(19 novembre 2014)