L’identità d’Israele, opinione pubblica divisa

rassegnaL’approvazione del disegno di legge presentato dal premier Benjamin Netanyahu che prevede la definizione giuridica di Israele come Stato della nazione ebraica viene accolta dalla stampa italiana ed estera con molte peplessità. La votazione del consiglio dei ministri ha visto 14 favorevoli e 6 contrari. John Reed sul Financial Times scrive: “La decisione di definire giuridicamente Israele come stato-nazione ebraico ha suscitato reazioni negative sia dai palestinesi, che la difiniscono disciminatoria, che dagli israeliani moderati che lo vedono come un possibile ostacolo alla natura democratica del paese”. “Una mossa che rischia di infiammare ulteriormente le tensioni con i cittadini arabi d’Israele – scrive Fabio Scuto su Repubblica – La decisione è arrivata al termine di un tumultuoso consiglio dei ministri che ha diviso il governo e che rischia di mettere in crisi la fragile maggioranza su cui poggia”. La Nazione riporta poi le parole polemiche del ministro delle Finanze Yair Lapid (“Oggi nemmeno Menachem Begin il leader storico della Destra si troverebbe a suo agio nel Likud”) e Tzipi Livni.
“Israele Stato ebraico, ma è bufera sul governo” titola il Mattino nell’articolo di Fabio Morabito che scrive: “Quella che in altri situazioni potrebbe essere solo una questione di politica interna, se avveine in Israele è difficile pensare che non possa avere ripercussioni in tutto il Medio Oriente”. E sul Messaggero si allarga il quadro: “Tutto questo avviene in un clima continuamente teso, del quale la strage nella sinagoga di sei giorni fa (con l’uccisione di 4 rabbini e un poliziotto) è stato l’apice dell’orrore. Ieri i soldati israeliani hanno ucciso un civile palestinese di 32 anni, che si sarebbe avvicinato al reticolato di confine e non avrebbe risposto all’alt. (…) Anche per questa situazione di tensione costante dentro gli stessi confini di Israele, tra ebrei e arabi, l’opposizione rileva l’inopportunità della scelta di Netanyahu. Il quale sostiene che i diritti civili di ciascun cittadino saranno garantiti. Ma è necessario ribadire – ha detto il premier – che Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico perché questo viene sempre più spesso messo in discussione. I due attentatori della sinagoga erano palestinesi, ma avevano la cittadinanza israeliana. E proprio ieri si è appreso che un arabo israeliano è stato arrestato dai servizi segreti di Tel Aviv perché avrebbe partecipato, in Siria, a un addestramento di dieci giorni con i terroristi dell’Isis”. Ma lsraele come Stato degli ebrei che cosa significa? A rispondere, Maurizio Molinari sulla Stampa: “La legge approvata è frutto di due testi presentati da deputati del Likud e di Israel Beytenu, il partito del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, ed è stato votato da tutti i ministri di questi partiti (tranne un’astensione) come anche di Ha Bayt Ha-Yehudi di Naftali Bennet: diventa così il punto di incontro delle forze politiche di centro-destra della coalizione. A votare contro sono stati invece tutti i ministri di Yesh Mid, il partito di Yair Lapid, più il titolare della Giustizia Tzipi Livni, del vecchio Kadima: sono le forze di centro-sinistra accomunate ai laburisti di Yizhak Herzog dal condannare una legge che «penalizza le minoranze e non sarebbe stata mai stata approvata da Ben Gurion, Menachem Begin e Zeev Jabotinsky» assicura Lapid, citando i padri fondatori dello Stato”. Una contrapposizione, spiega Molinari, netta che allontana le due fazioni. E se Netanyahu spiega di voler difendere l’identità ebraica del paese, Lapid obietta che “che così vengono lesi i diritti delle minoranze, inclusi drusi, circassi, arabo-israeliani e beduini che servono nell’esercito. Per questo Lapid va a trovare la famiglia di Zidan Sai’, l’agente druso morto nel contrastare gli attentatori di Har Nof, accusando il premier di volerli trattare da cittadini di serie B”.

Sul Corriere della Sera, Davide Frattini intervista l’analista Jacky Hugi che “nel libro Arabian Nights ha cercato di spiegare gli arabi, i vicini di casa che li circondano, agli israeliani”. Hugi interviene dopo la dichiarazione dell’egiziano Abdel Fattah al Sis che si riteneva pronto ad “inviare forze militari all’interno dello Stato palestinese” per “aiutare la polizia locale e rassicurare gli israeliani”. “Ma prima – spiega al Sisi – deve esistere lo Stato palestinese dove inviare le truppe”. L’analista si sofferma su questo ultimo passaggio, che prevede una condizione al momento non praticabile: “I negoziati sono fermi, qualunque accordo sembra lontano. Questo permette a Benjamin Netanyahu di prendere tempo e non rispondere all’offerta di al Sisi. Il premier israeliano deve anche tenere conto della diffidenza dei suoi elettori: le relazioni tra i due Paesi sono molto migliorate di recente, ma è difficile che la gente qui accetti di affidare la sicurezza sui confini a un esercito arabo. Verso l’Egitto resiste un atteggiamento sospettoso legato alle guerre combattute in passato”. E aggiunge Hugi: “Non dimentichiamo però che anche per Hamas l’Egitto resta Umm A-Dunya, la madre del mondo, lo Stato arabo più importante. È vero, l’ostilità in questo periodo esiste, Hamas sa che il popolo e qualunque regime egiziani saranno sempre leali alla causa palestinese”.

Nuova strage in Afghanistan: un terrorista con un giubbotto pieno di esplosivo si è fatto esplodere causando più di 50 morti. A riprendere la notizia anche la Repubblica: “Nemmeno lo sport in Afghanistan si sottrae alla rabbia degli attentati: ieri un kamikaze si è fatto saltare in aria, straziando le persone accanto a lui, sul bordo di un campo di pallavolo, durante la finale di un torneo locale nel distretto di Yahya Khel, nella provincia di Paktika”. Un agguato legato ad una nuova offensive dei Taliban, spiega Repubblica, in una provincia già colpita fortemente: “La Paktika è stata sede di uno degli attentati più micidiali nello scorso luglio, quando 89 persone sono rimaste uccise per l’esplosione di una bomba in un mercato molto affollato”.

Sul Corriere della Sera Cesare Rimini racconta Viviane, il film degli israeliani Shlomi e Ronit Elkabetz presentato questa sera al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano: “Questa è la storia di Viviane Amsalem, una parrucchiera, madre di quattro figli, che vuole il divorzio da suo marito perché lei non lo ama più, ma egli rifiuta il ghet, cioè rifiuta di firmare l’atto di ripudio. La storia di Viviane ha le radici nel Deuteronomio, il quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, la cui redazione si colloca nel VI e V secolo a.C. Nel Deuteronomio a proposito del ripudio ci sono parole che pesano come pietre e che a ben guardare sono alla base del bellissimo film”. Rimini torna sulla citazione biblica: “Quando un uomo abbia sposato una donna e abbia con lei convissuto, se a lui non piacerà più perché ha trovato in lei qualcosa di sconveniente, scriverà per lei un documento di ripudio, il ghet, glielo consegnerà nelle sue mani e la manderà via dalla sua casa”. Nonostante gli sforzi per cercare di far ottenere a Viviane il divorzio (“Una donna è stata data per vivere, non per soffrire “ricorda lei), il Deuteronomio, “ha sullo sfondo il problema di cercare di indurre il marito a compiere il ghet, che dovrebbe essere una scelta libera. Questo è il grande contrasto, il problema di fondo”.

Iniziata ieri “The common challenges of tomorrow”, l’iniziativa promossa dal ministero degli Esteri israeliano che prevede: “la partecipazione di una quarantina di rappresentanti di spicco delle giovani generazioni, la «Future european leadership» di industriali, imprenditori, politici e amministratori locali di 17 Paesi europei. Che potranno conoscere l’eccellenza nei vari campi dello sviluppo e le molte sfaccettature della società israeliana”. In rapprestanza dall’Italia Marco Gay, presidente dei Giovani di Confindustria, e Gian Giacomo Gellini, vicepresidente con delega all’innovazione e internazionalizzazione. A dare la notizia il Sole 24 Ore, che continua: “Nei quattro giorni della missione i partecipanti incontreranno giovani imprenditori locali che operano negli stessi settori e sono impegnati in aree d’interesse degli ospiti europei per confrontarsi e discutere di problemi e sfide comuni. Tra i molti appuntamenti in calendario sono previsti una visita all’Università Weizmann, specializzata nella ricerca scientifica (…), incontri con parlamentari della Knesset, con rappresentanti dell’amministrazione comunale di Tel Aviv-Jaffa, visita al Technion, il Politecnico di Haifa. Per finire è previsto un tour alla scoperta dell’ecosistema di start-up che gravita nell’area di Tel Aviv e dintorni”.

Sempre più forte il legame tra la leader del Fn francese e la Russia di Putin. Scrive Anais Ginori su la Repubblica: “La scalata al potere di Marine Le Pen non ha solo la benedizione politica di Mosca, ma anche un concreto aiuto finanziario. II Front National ha ricevuto un prestito di 9 milioni di euro dalla First Czech Russian Bank, fondata nella Repubblica Ceca e ora basata a Mosca”. Una cifra che dovrebbe servire per riorganizzare il partito in vista delle presidenziali del 2017. Le Pen assicurà che il prestito verrà rimborsato ed ha dichiarato: “il vero scandalo è che il nostro partito ha presentato domande di prestiti a tutte le banche francesi e nessuno ha mai accettato”.

La Gazzetta del Mezzogiorno riporta la notizia del progetto “Promemoria” per il quale una deligazione di 50 pensionati dello Spi-Cgil pugliese partirà oggi da Bari per un viaggio a Aushwitz-Birkenau.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(24 novembre 2014)