unità…

È noto che Ya‘aqòv, coricandosi nel luogo ove sarebbe poi sorto il Santuario, prese diverse pietre (la tradizione afferma che erano dodici) da mettere intorno alla sua testa. Quando si svegliò alla mattina, prese “la pietra” che aveva posto al suo capo e la eresse come stele commemorativa della sua promessa. Da qui risulta che la pietra era una sola, e non diverse! Il Midràsh risolve il problema affermando che le pietre, volendo ognuna essere quella su cui il Patriarca avrebbe posato la testa, si fusero in una sola.
Che il messaggio che il Midràsh ci vuole mediare sia l’importanza dell’unità del popolo ebraico è addirittura scontato; ma a mio avviso questo messaggio deve essere ulteriormente approfondito, analizzandolo nei particolari. Ad esempio, non è casuale il fatto che le pietre fossero dodici, come le tribù d’Israele: si può essere “uno” anche essendo “tanti”. Né è casuale il fatto che ciò sia avvenuto nel luogo in cui sarebbe sorto il Santuario: questo – ci dice il Midràsh – può mantenersi solo se c’è unità. La stessa distruzione del Santuario è stata causata, secondo i Maestri e perfino secondo la storia, dall’odio gratuito fra le varie fazioni.
Da qui ricaviamo che in qualunque scopo sacro – e nelle nostre Comunità qualunque attività deve essere considerata sacra – possiamo avere successo solo se ci rendiamo conto che rappresentiamo una realtà unica, anche se ci presentiamo con colori differenti (per mantenere la simbologia delle pietre del pettorale del Sommo Sacerdote): l’unità nella differenza sarà l’unica strada percorribile per sopravvivere.

Elia Richetti, rabbino

(27 novembre 2014)