Periscopio – Anticorpi
Il recente episodio verificatosi a Roma, che ha visto centinaia di appartenenti a un’organizzazione di estrema destra adunarsi davanti a un campo Rom, impedendo a decine di bambini di recarsi a scuola e all’asilo, è un qualcosa che suscita la più profonda indignazione e preoccupazione, per il tetro imbarbarimento a cui la nostra società sembra, giorno dopo giorno, abituarsi.
Ci si chiede, con sgomento, cosa ancora ci attende, fino a dove arriveremo, dato che il livello di assuefazione sembra crescere, inesorabilmente, di giorno in giorno. Ciò che ieri avrebbe suscitato proteste e condanne, oggi pare normale, e spinge al massimo a una levata di spalle, ciò che oggi guadagna grossi titoli sui quotidiani domani otterrà al massimo due righe, e dopodomani niente. Siamo ormai abituati al fatto che i leader di importanti partiti, che hanno governato l’Italia, ancora governano importanti regioni, e mietono grandi successi elettorali, stringano alleanze con gruppi estremisti e violenti, dichiaratamente razzisti, organizzino spedizioni intimidatorie nei campi nomadi, soffino sempre più sul fuoco di primitive e viscerali paure. Il tutto condito da larghi e bonari sorrisi, da una patina di genuinità popolare, di innocuo folklore da borgata. Un fascismo bonaccione, ‘della porta accanto’, in grado di piacere alla gente comune, all’uomo della strada, tale da non spaventare nessuno. Pasolini e Primo Levi lo avevano esattamente previsto.
Ma il pericolo, com’è evidente, non proviene da una sola parte. Urla sguaiate, invettive, inviti a “dagli all’untore” si incrociano e si sovrappongono, provenienti da mondi apparentemente distanti e incomunicabili, che trovano un solido punto di incontro in una rivendicazione identitaria becera e ottusa, secondo la quale le persone non esistono se non in contrapposizione agli altri, ai diversi, che devono essere additati, segregati, cacciati. Non si riuscirà a cacciarli davvero, magari, ma solo per il fatto di averli schedati e insultati ci si sente un po’ meglio, un po’ rassicurati: più ‘noi’, in quanto contrapposti a ‘loro’.
Il fenomeno, sappiamo bene, non è solo italiano, in molte grandi nazioni europee (Francia, Gran Bretagna, Austria, Ungheria…) le forze xenofobe hanno il vento in poppa (anche se non bisogna considerare tali movimenti di opinione come dei recinti chiusi e ben delimitati, in quanto sentimenti analoghi non sono estranei a gente che vota in altro modo). Ma quel che appare una triste caratteristica del nostro Paese è la pressoché totale mancanza di reazione, di anticorpi. I partiti civili e democratici, le forze intellettuali sane – che certamente ci sono – appaiono alquanto indifferenti di fronte a tutto questo: tutto passa, in genere, sotto silenzio, o, al massimo, viene fatto rientrare nella normale dialettica del dibattito politico. Eppure, tra civiltà e politica dovrebbe esserci una chiara differenza. Nel dopoguerra, alcuni tra gli uomini migliori di quella generazione sottoscrissero un patto di civiltà tra gli italiani, demarcando con chiarezza quali fossero gli ambiti lasciati al libero confronto delle idee e alla contesa politica, e quali dovessero essere invece considerati gli spazi inviolabili di civiltà, posti definitivamente al riparo – nella memoria di cosa era accaduto pochi anni prima – da qualsiasi forma di prevaricazione, in quanto riconosciuti a inviolabile difesa del rispetto, della libertà e della dignità della persona umana e a presidio dei “doveri inderogabili di solidarietà”.
Molti politici italiani, di quel documento, chiamato Costituzione della Repubblica Italiana, dicono che è vecchio, e va riscritto. I tempi, forse, sembrano dare loro ragione. “Uno dei padri del Codice di Napoleone – scrive Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale e Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, tra i massimi giuristi del nostro tempo – diceva che le leggi hanno il diritto di diventare antiche. Figuriamoci le costituzioni!”. Ma diventano antiche se almeno qualcuno, ogni tanto, le legge. Altrimenti diventano soltanto delle carte inutili e polverose. Come in Italia.
Francesco Lucrezi, storico
(3 dicembre 2014)