fede…

“La specificità della Diaspora ebraica potrebbe formularsi così: nonostante la perdita dello stato, del territorio e di una lingua profana il giudaismo è sopravvissuto come gruppo parentale e unito nella continuità di un comune destino, un gruppo che ha concentrato le sue energie soprattutto nell’impregnare il corpo sociale dell’idea religiosa di cui era depositario. La fedeltà alla religione avita non si è concretizzata nella formazione di una chiesa”. Fin qui le parole di Erich Fromm nel saggio “La Legge degli Ebrei”. Alla parola chiesa mi si è fermato il pensiero, incastrandosi tra la parola Diaspora che apre queste righe e la parola chiesa che, appunto, le chiude. E con timore penso che se il passaggio da Diaspora a Nazione abbia portato con sé il rischio di diventare chiesa, temo che l’“idea religiosa di cui siamo depositari” possa diventare una delle tante circolari di un Ministero della Religiosità e noi che oggi abbiamo una Nazione, uno Stato e una Diaspora abbiamo anche il dovere di essere fedeli a noi stessi e al nostro destino storico. “Noi crediamo che nonostante esperienze storiche contradditorie, terribili olocausti e l’ostilità di tanta parte del mondo, ci muoviamo inesorabilmente verso la redenzione divina ‘anche se può tardare’, e in tal modo verranno soddisfatte le aspirazioni del nostro popolo. Ci rifiutiamo di piegarci alla rinuncia e persistiamo in una fede irrazionale”. E mi consolano le parole di Rav Joseph B. Soloveitchik zzl. Mi consolano e mi spronano ad avere una “fede irrazionale”, una fede oltre ogni Ministero di identità e ogni rischio di diventare chiesa.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(5 dicembre 2014)