Ticketless – Simon Sinai
Leggendo gli interventi sul tema delle conversioni pubblicati da “pagine ebraiche” m’è tornata in mente una pagina della Marcia su Roma e dintorni, capolavoro di Emilio Lussu, dove ci vengono presentate le giravolte politiche post-1922: un aviatore, un generale, disperato, prossimo al suicidio («Fu tra i primi a passare al fascismo ed ebbe subito un posto di grande autorità»), un avvocato, fra i più recalcitranti («contornatasi la casa di filo di ferro spinato, aveva giurato di difendersi fino all’ultima cartuccia, sprezzante persino dell’artiglieria»). Il prefetto intima: «Si decida. O in galera o nel fascismo». L’avvocato chiede cinque minuti per riflettere e al quinto minuto opta per il fascismo, che ne farà un gerarca di prestigio. A Lussu, che gli chiede conto del filo spinato, risponde tirando fuori di tasca un libro del XVI secolo, così intitolato: Ultima professione di fede di Simon Sinai, di Lucca, prima cattolico-romano, poi calvinista, poi luterano, di nuovo cattolico, ma sempre ateo.
Il tema della conversione non è solo un delicato problema del diritto ebraico, ma anche un tema della cultura europea. L’ebreo convertito è un personaggio classico della letteratura: da Abraham Giudeo nel Decameron di Boccaccio a Un goj di Luigi Pirandello. La letteratura ricorda al diritto che esistono varie tipologie di conversione, non solo la più nota e la più spregevole, di cui con monotonia discorriamo: la conversione per opportunismo, per fare carriera, per tradire i padri. Esiste anche la conversione per amore, Svevo insegna, che ha una sua innocenza. Nel Novecento, all’ombra di Buonaiuti e in conseguenza del suo carisma, vi sono stati avvicinamenti al cristianesimo, non necessariamente sfociati in conversione, dettati da sincero fervore mistico, insomma non da bieche ambizioni. Tutto giusto, ma Simon Sinai? L’Ultima professione di fede di Simon Sinai evocata da Lussu non sarà un falso come i Protocolli dei Savi di Sion, ma poco ci manca. Nel 1558 un medico toscano, Marcello Squarcialupi (1538-1592) in polemica contro un tale Simone Simoni (1532-1602), vicini entrambi alle idee riformate scrisse un testo: Simonis Simonii, primum romani, tum calviniani, deinde luterani, denuo romani, semper autem athaei, summa religio (Cracovia, 1558). Fa problema la “semitizzazione” novecentesca di Simon, simbolo di inaffidabilità. Interessante è l’uso politico e la larga circolazione di questo personaggio nella cultura antifascista. Uscito a Parigi nel 1931, Marcia su Roma e dintorni ebbe straordinaria fortuna: a catena, per un decennio, della fragilità identitaria di Simon Sinai si serviranno comunisti, anarchici, socialisti riformisti, repubblicani per accusarsi crudelmente di tradimento tra loro.
Alberto Cavaglion
(10 dicembre 2014)