Tempo e rispetto
Gli insegnanti che compaiono nelle opere letterarie del ‘900 non danno mai l’impressione di nuotare nell’oro. Forse non godevano neppure di una maggiore considerazione sociale rispetto ad oggi. Le differenze sembrano altre: prima di tutto un carico di lavoro oggettivamente molto inferiore (meno burocrazia, meno riunioni, interrogazioni quasi sempre orali) che lasciava una discreta quantità di tempo libero. In secondo luogo, nessuno si permetteva di mettere in discussione i loro metodi e i loro criteri di valutazione, nemmeno quando le critiche sarebbero state più che giustificate. Ne emergeva l’immagine di un mestiere più intellettuale e più libero.
Talvolta mi capita di domandarmi come questa silenziosa erosione del tempo e dell’autorevolezza degli insegnanti abbia potuto insinuarsi così facilmente nella scuola italiana senza che nessuno protestasse in modo significativo. Nel dibattito pubblico si è data molta più importanza agli aspetti economici, che non sono certamente da trascurare ma non sono mai l’unico criterio da tenere presente quando si misura la qualità della vita; senza contare che il tempo libero implica facilmente risparmi (per esempio per chi ha figli piccoli) o consente altre attività. Perché i nostri sindacati hanno (giustamente) pestato (o tentato di pestare) i piedi sui soldi e non su altro? Eppure i soldi, quando scarseggiano, sono la cosa più difficile da ottenere. Su altre cose mi pare che si sarebbe potuto (e si potrebbe) tentare di essere molto più rigidi e determinati. Per esempio, dovremmo essere più fermi nel pretendere un minimo di rispetto da parte dei genitori degli allievi: non vedo nessuna ragione al mondo per cui dobbiamo lasciarci offendere e insultare impunemente, e un po’ mi sorprende che i sindacati degli insegnanti non si siano (finora) occupati seriamente del problema.
Ma soprattutto, mi pare che avremmo potuto e potremmo essere più fermi nella difesa del nostro tempo: ci viene imposta una nuova incombenza? Benissimo, purché contestualmente veniamo sollevati da un’altra incombenza che richiede più o meno lo stesso carico lavoro. Dovrebbe essere ovvio, finché lo stipendio è sempre lo stesso, ma invece da decenni pare normale pretendere continuamente lavoro supplementare senza che nessuno protesti.
Tempo e rispetto. Una volta lo Stato li offriva agli insegnanti al posto dei soldi, che non sono mai stati abbondanti. Oggi non sembra più in grado di offrirli nella stessa misura. E le scuole ebraiche? Non so come stiano le cose in pratica, ma è comunque interessante notare che in teoria dovrebbero essere in grado di offrirli entrambi: mi pare un fatto assodato che il rispetto per chi insegna sia un valore ebraico; per quanto riguarda il tempo, lo Shabbat dovrebbe averci abituati all’idea che non esistono mai lavori così importanti e incombenze così pressanti da non potersi fermare, e che fermarsi è un diritto non negoziabile.
Anna Segre, insegnante
(12 dicembre 2014)