responsabilità…
Nell’aleftav della scorsa settimana Dario Calimani denunciava, giustamente, la scarsa partecipazione dei membri della sua comunità alla commemorazione e al Kaddìsh in memoria degli ebrei deportati da Venezia e il relativo pericolo di un progressivo oblio delle nostre tragedie. Purtroppo le latitanze e una certa deresponsabilizzazione nella nostra vita comunitaria sono sensibilmente trasversali e soggette a valutazioni personali in ragione delle priorità identitarie di ciascuno di noi. C’è che si reca in sinagoga solo di Kippùr, chi solo di Shabàt e chi tutti i giorni ritrovandosi, il più delle volte, senza il quorum necessario per recitare la preghiera pubblica. C’è chi resta deluso nel vedere ignorata una lezione o una conferenza, chi invece vive la frustrazione di un’attività sociale ignorata. La maggior parte delle nostre sinagoghe in Italia si sono trasformate in méte monumentali e turistiche piuttosto che svolgere la loro funzione naturale di Bate hakeneset (luoghi di riunione dove si prega e si studia). Insomma ciascuno di noi sente e lamenta maggiore trascuratezza per le cose che ha più a cuore. Il problema è che in troppi campi d’azione stiamo delegando sempre di più la memoria e la coscienza di noi stessi. Rashi’ (Bereshìt, 40;23) ci ricorda che nel momento in cui Yosèf chiede al capo dei coppieri di ricordarlo al Faraone, delegando così la memoria di sé, si tirerà addosso la punizione di due anni supplementari di prigionia. Delegare ad altri la responsabilità della memoria equivale ad autocondannarsi alla prigionia e all’ esilio.
Roberto Della Rocca, rabbino
(16 dicembre 2014)