Periscopio – Berlinguer
Quest’anno, 2014, è stato segnato da numerose iniziative, di vario tipo, succedutesi, in tutta Italia, per celebrare il trentennale della scomparsa di Enrico Berlinguer. Molti libri, articoli, documentari, convegni sono stati dedicati alla figura dello statista, per il quale si sono spese universali parole di elogio e rimpianto, e alla cui memoria sono state anche intitolate diverse strade e piazze cittadine (da ultimo, nella mia città, Napoli, dove un piazzale nel cuore del Centro storico ha preso il nome, dalla settimana scorsa, di largo Enrico Berlinguer).
So bene che, nelle commemorazioni dei nomi rilevanti del passato, gioca sempre un effetto ‘nostalgia’, e che, per chiunque riesca a sfidare la dura legge dell’oblio, il tempo tende a nascondere o ridimensionare i difetti, e a ingigantire i meriti, cosicché i nomi illustri del passato (quando non siano passati alla storia come ‘cattivi’: ma sappiamo bene che, anche in questi casi, c’è sempre una tendenza alla riabilitazione, specie in Italia, il Paese della ‘brava gente’) ci sembrano, col passare del tempo, sempre più degni di lode. In fondo, nel rimpiangere Berlinguer e gli altri protagonisti di quegli anni, rimpiangiamo soprattutto la nostra giovinezza, quando, si dice, “c’erano gli ideali”, avevamo ancora i nostri genitori, il futuro sembrava promettere grandi avventure e le angustie del presente erano di là da venire.
Non è mia intenzione esprimere un giudizio sull’operato politico di Berlinguer. I trent’anni trascorsi dalla sua scomparsa sembrano secoli, viviamo oggi in un mondo completamente diverso. Sarebbe ingeneroso, antistorico e stupido ricordare, oggi, che gli ideali per i quali il leader comunista si è battuto erano sostanzialmente fallaci, e che il comunismo andava non riformato, ma abbandonato. Ciò che più conta è che i tanti che lo hanno stimato, amato e seguito lo hanno fatto soprattutto perché affascinati da un concetto alto e autentico di moralità, da un messaggio di impegno e di solidarietà al cui centro c’era, credo, l’idea di fondo che nessuno, come disse Giorgio Gaber, abbia il diritto di essere felice da solo, e che per la felicità di tutti sia possibile, bello e doveroso battersi. Berlinguer, in un Paese in cui quasi tutti sono, in qualche modo, cattolici, ma quasi tutti “a modo loro”, ha incarnato la figura ascetica e rigorosa di un santo laico, latore di un sobrio e rigoroso verbo di solidarietà, fratellanza, impegno.
Il problema dei santi, però, è che il loro culto diventa totalizzante e acritico, cosicché tutti i loro gesti e comportamenti diventano oggetto di celebrazione liturgica, e chi li critica rischia di essere tacciato di eresia e vilipendio. Accettando il rischio, mi permetto, con grande rispetto verso il personaggio e tutti quelli che in lui hanno creduto – fra cui, per qualche stagione, io medesimo -, di ricordare che Berlinguer è stato un grande protagonista, in negativo, di quelli che Elio Toaff, nella sua autobiografia “Perfidi giudei, fratelli maggiori”, chiamò “gli anni dell’odio”. Gli anni di una criminalizzazione sistematica e scriteriata di Israele, un Paese verso cui, nel 1982, Berlinguer ebbe a dire parole di pietra, che non voglio riportare. Anni in cui i sindacati confederali arrivarono a depositare una bara davanti al Tempio Maggiore di Roma, in cui le invettive contro lo stato ebraico raggiunsero livelli mai visti prima, e in cui, specularmente, si esaltava in modo morboso la figura di Arafat, additato alle masse come un eroe impavido, glorioso e immacolato. Ricordo come fosse ieri la vera e propria ‘gara’ tra Berlinguer e Craxi nell’esibire, in ogni modo, un rapporto privilegiato di “amico del cuore” del leader dell’OLP, nel dimostrare di non essere secondi a nessuno nel ruolo di difensore appassionato della Palestina e censore inflessibile di Israele.
Quanti italiani, in quelli anni, hanno assorbito l’idea che essere dalla parte dei poveri e dei derelitti, battersi contro le ingiustizie, costruire un modo migliore, fatto di pace, uguaglianza, fratellanza, significasse anche, o soprattutto, schierarsi, sempre e comunque, dalla parte dei palestinesi, e quindi contro Israele? Quanti hanno fatto coincidere la fortuna della Palestina con quella dell’OLP, e quella di entrambe con la punizione di Israele? E quante persone oneste, pacifiche, democratiche, in buona fede, si sono fiduciosamente incamminate lungo questa strada velenosa, semplicemente perché era la strada indicata da Enrico Berlinguer, l’uomo buono e giusto per eccellenza, il difensore degli ultimi, l’alfiere della questione morale?
Aiutare i poveri, costruire “un mondo d’amore” è difficile. Attaccare Israele, invece, è facile e, quanto meno, è un buon inizio. Inutile chiedersi quanto sia morale, perché la morale è qualcosa di soggettivo. Per cui credo che il primo insegnamento da dare ai giovani sia quello di dubitare sempre e comunque di qualsiasi maestro di morale, e di pensare sempre esclusivamente con la propria testa.
Francesco Lucrezi, storico
(24 dicembre 2014)