…identità

Secondo il Corriere della Sera, “in un match sportivo Italia-Israele, tiferemmo Italia”, dicono alla Comunità ebraica romana in occasione dell’incontro fra il presidente Riccardo Pacifici col ministro degli Esteri Gentiloni. Interessante sapere se l’ordine delle squadre sarebbe lo stesso se l’incontro fosse a Gerusalemme con il ministro degli Esteri Liberman. Ma al di là di questa particolare esternazione, la domanda sul tifo in occasione di un ipotetico incontro fra le due squadre del cuore costituisce un test ben noto nello studio delle identità collettive. Nella sua lezione magistrale al Congresso americano di studi ebraici del 2013, il noto sociologo Mort Weinfeld pose la stessa questione, contrapponendo il suo Canada a Israele. Il fatto è che nell’epoca in cui viviamo tutti coltiviamo più di una identità, se pensiamo in particolare a quelle familiari, religiose, geografiche, politiche e professionali che coinvolgono ognuno di noi. Fra queste diverse identità può stabilirsi un rapporto di gerarchia, di competizione, di conflitto inconciliabile, o di armoniosa convivenza. Allo stesso tempo, mentre sappiamo o crediamo di sapere che cosa noi siamo, di solito sappiamo ancora meglio che cosa noi non siamo. Io sono io perché sono me stesso ma anche perché non sono l’altro. La mia identità si chiarisce anche perché non è quella altrui. Ma è possibile essere allo stesso tempo io e l’altro? O in altre parole, è obbligatorio possedere solamente una identità o è possibile possederne più di una in contemporanea? Nell’incontro Italia-Israele dobbiamo per forza puntare 1, oppure 2, o magari X? Oppure possiamo giocare diverse colonne in una schedina multipla?

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(25 dicembre 2014)