Il veleno dell’islamofobia
Nell’Europa del presente, colpita dalla crisi e dal malcontento popolare si aggira sempre più indisturbato lo spettro della xenofobia, con obiettivi diversi ma con caratteristiche comuni trovando una propria realizzazione nell’anti-europeismo e in un rinnovato e barcollante nazionalismo intriso di populismo. Se l’antisemitismo è circoscritto soprattutto agli ambienti dell’Islam radicale avvalendosi di un tacito appoggio dell’estrema sinistra e dell’immobilismo dei governi liberali, ugualmente il nuovo fenomeno dell’islamofobia riscuote consensi in tutti gli strati sociali e può contare su svariati gruppi politici e propri “intellettuali” di punta. Lo scenario che in un futuro prossimo l’Europa sgretolandosi si trasformi con la crescente immigrazione, in una fattispecie di califfato islamico, con minareti al posto dei campanili delle chiese, e con l’imposizione a tutta la popolazione della shari’a, è un timore condiviso non solo da qualche agitatore di piazze o da scrittori scomodi come Michel Houellebecq ma anche da personaggi di indubbia lucidità e intelligenza, come testimoniano le ultime opere di Oriana Fallaci. Gli artefici o i responsabili di questa distopia o di questo “suicidio” – usando le parole di Eric Zemmour in riferimento alla Francia – sarebbero, a seconda dei vari orientamenti, le contestazioni del sessantotto che sotto l’influenza del decostruttivismo e della Scuola di Francoforte avrebbero corroso le fondamenta dell’Occidente attraverso il multiculturalismo e il relativismo culturale, o altrimenti, secondo tesi più cospirazioniste, spesso conniventi con le prime, vi sarebbe in ciò, come sempre, un disegno ben preciso da parte di banche, lobby e istituzioni governative per portare al tracollo il continente. Indubbiamente, l’Islam è una religione con aspirazioni universalistiche e ormai definitivamente globalizzata, con una forte presenza al suo interno di istanze integraliste e omologanti, le quali hanno preso negli ultimi secoli il sopravvento su altre più razionalistiche, periferiche o pluraliste, e al tempo stesso è anche una cultura in bilico che a discapito del suo presunto potere, combatte sia in Europa che nei suoi paesi d’origine, una lotta intestina tra conservatorismo e modernità e tra chiusura totale e acculturazione specie sulla pelle delle nuove generazioni, più esposte e vulnerabili rispetto alle precedenti. Il fondamentalismo islamico è dunque un pericolo reale che non può essere negato o sminuito, così come la sua capacità di attrazione tra numerosi immigrati musulmani presenti nei nostri paesi. Percepire però il fenomeno come omogeneo e monolitico, inneggiando a nuove crociate culturali, sfruttando irresponsabilmente luoghi comuni e stereotipi per far leva sulle fasce più deboli e impreparate, non porterà altro che a inasprire lo scontro e il divario già critico tra i due mondi, continuando a marginalizzare e a radicalizzare le frange più estreme o quelle attualmente su una linea di confine. Il Che fare? O Il come agire, dovrebbe come di consueto, seguire la via dettata dal raziocinio, senza lasciarsi condizionare dall’imperante ignoranza e da paure allarmiste.
Francesco Moises Bassano
(26 dicembre 2014)