J-Ciak – Himmler, l’indecenza del male
“Malgrado tutto il lavoro che ho da fare, sto bene e dormo bene”. A scrivere così è Heinrich Himmler, che mentre la guerra si avvia alle battute finali rassicura la moglie Marga. Una lettera banale: un marito che il lavoro costringe a lungo fuori casa e scrive ai suoi, raccontando di sé e del suo impiego come burocrate dello sterminio. La corrispondenza della famiglia Himmler – centinaia di lettere, documenti e foto rocambolescamente divenuti pubblici a gennaio – sono diventate un film inquietante: “The Decent One”, diretto dalla filmaker israeliana Vanessa Lapa (nell’immagine), da poco nelle sale americane
Presentato al Festival di Berlino, il documentario non aggiunge nuovi particolari alla storia già ben nota di quegli anni. Ci schiude però un altro prezioso spiraglio sui meccanismi mentali dei carnefici. La corrispondenza della famiglia Himmler, per un arco di tempo che va dal 1927 al 1945, è un close-up estremo sull’intimità di una famiglia per cui gli orrori del nazismo sono il pane quotidiano; andare ad Auschwitz è una trasferta come un’altra e il campo di Dachau la meta di una gita con la figlia dodicenne.
L’intreccio degli scritti con i fatti di quegli anni, che Vanessa Lapa ripercorre grazie a pregevoli filmati d’epoca, ci mostra Henrich Himmler nelle vesti di marito e padre affettuoso. Ne emergono tanti aspetti insospettati. Il fastidio nei confronti del figlio adottivo (che per aver fumato una sigaretta verrà spedito nelle SS e diventerà il più giovane prigioniero di guerra sul fronte sovietico). L’inclinazione a scherzare e flirtare con la moglie Marga, che però non esita a riprendere quando lei si permette di discutere i suoi spostamenti di lavoro. La rimozione dell’impatto psicologico che hanno su di lui gli orrori di cui è artefice (preferisce ostentare un atteggiamento da duro). Una certa durezza nei confronti dell’amatissima figlia Gudrun (che dopo il suicidio del padre continuerà a lottare per la causa nazista in Stille Hilfe-Aiuto silenzioso, organizzando la fuga di gerarchi nazisti verso l’America latina e cercando di tutelare gli ex fedelissimi al regimi).
Al tempo stesso “The decent one” ci svela come, fino all’ultimo, Himmler si consideri un onesto servitore della patria. L’uomo responsabile delle peggiori atrocità si considera “un uomo decente”, un uomo morale e irreprensibile. E’ lo stesso Himmler a usare più volte il termine “decente”, ripreso da Vanessa Lapa nel titolo, nei discorsi che tiene a Pozen nel 1943. “Abbiano il dovere morale, l’obbligo, nei confronti del nostro popolo, di prendere quanti ci vogliono uccidere e di ucciderli. Ma non abbiamo il diritto di arricchirci di una sola pelliccia, un solo orologio marco, sigaretta o altro”, dice a proposito della Soluzione finale. E ancora, “Possiamo avere un solo desiderio riguardo a ciò che viene detto di noi: ‘Questi soldati tedeschi, questi generali tedeschi: erano decenti’”.
Quella di Vanessa Lapa è un’operazione molto diversa ma altrettanto illuminante rispetto a quella realizzata da Eyal Sivan, che in “Uno specialista” (1999) aveva montato due ore d’immagini del processo Eichmann mostrando, senza alcun commento se non la stessa operazione di montaggio, la sconvolgente banalità del male. E dire che in principio la regista si era concentrata sui misteriosi percorsi della corrispondenza degli Himmler, più che su questi ultimi.
Un interesse più che giustificato, per una vicenda da romanzo che aveva visto i documenti riaffiorare nel 2006 a Tel Aviv, dopo un lunghissimo silenzio. Il proprietario Chaim Rosenthal, in passato pittore e addetto culturale per Israele, ormai anziano, li vuole vendere. Vuole liberarsi dalla schiacciante responsabilità morale di quel materiale che possiede da molti anni, a patto però che finisca in buone mani e soprattutto venga strumentalizzato o peggio distrutto dai negazionisti.
Finirà per acquistarlo a una cifra simbolica, il padre della Lapa, che poi li cede alla compagnia di produzione della figlia. I documenti, circa 700 lettere la cui attendibilità viene verificata dagli esperti, vengono pubblicati a gennaio in parallelo da Die Welt in Germania e da Yediot Aharonot in Israele. Forse non si saprà mai come quelle missive siano arrivate dalla casa bavarese di Himmler, dove sarebbero state trovate nel ’45 da due soldati Usa, a un appartamento di Tel Aviv. O forse sarà materia di un altro film.
Daniela Gross
(26 dicembre 2014)