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Nella parashà di Vayechi, il cui tono e i cui contenuti anticipano i libri profetici, leggiamo un passo che, benché apparentemente simile ad altri, contiene elementi di specificità che meritano particolare attenzione. È il brano in cui Ya‘aqòv benedice i figli di Yosèf, dicendo al loro padre: “Bekhà yevarèkh Israèl le’mòr: “Yesimekhà E-LOKIM ke-Efràim wekhi-Menashè”, “A nome tuo Israele benedirà dicendo: Ti faccia diventare D. come Efràim e come Menashè”. A tutt’oggi è questa la formula con la quale solitamente i padri introducono la benedizione ai loro figli.
Anche ad Avrahàm viene promesso che a nome suo “saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Ma qui non solo non è Yosèf il soggetto diretto della benedizione (bensì i suoi figli), ma per la prima volta compare l’espressione precisa che dovrà essere usata, con la specifica dei nomi: “Ti faccia diventare D. come Efràim e come Menashè”. Che cosa hanno di tanto esemplare questi due giovanetti, dei quali la Torà non narra nulla di preciso?
Nel corso di queste ultime parashòth abbiamo seguito Yosèf ed il suo modo di essere, ed abbiamo visto sottolineato il suo continuo attaccamento al mondo ebraico, ai valori della famiglia paterna, nonostante gli allettamenti del mondo egizio. Ciò può non stupirci: essendo stato educato in ambiente ebraico, nella casa di Avrahàm, Yitzchàk e Ya‘aqòv, la cosa non era impossibile. Ben più difficile doveva essere la situazione dei due ragazzi, nati in Egitto da madre egizia, lontani dalla benefica influenza del nonno paterno ed invece vicini all’influenza del nonno materno, Potifèrà, sacerdote del culto solare di Eliopoli.
Tuttavia, i nostri Maestri hanno validi motivi per ritenere che i due ragazzi, che già portavano non solo nomi ebraici, ma nomi nei quali si ricorda l’azione divina nella storia degli uomini, non fossero ebraicamente inferiori ai loro cugini nati in Eretz Israel e cresciuti da sempre all’ombra di Ya‘aqòv; e ne farebbe fede, tra l’altro, il fatto che anche i nomi dei loro figli saranno interamente ebraici.
Questo è dunque il motivo della particolare benedizione di Ya‘aqòv, il motivo per il quale i loro nomi possono essere citati ad esempio da ogni padre ad ogni figlio; essi sono la riprova di un messaggio che non sarà mai sufficientemente ribadito: con l’impegno e la volontà è sempre possibile conservare l’ebraismo nei propri discendenti. Quei genitori che scusano l’allontanamento dei loro figli dalle tradizioni con le difficoltà da affrontare per mantenerle, traggano dall’esempio di Efràim e di Menashè uno stimolo per mantenere ed incrementare l’ebraismo in se stessi e nei loro figli.

Elia Richetti, rabbino

(1 gennaio 2015)