Festeggiare o riflettere
Il Capodanno che coincide con il 10 di Tevet suona decisamente poco appropriato, ma a ben pensarci l’atmosfera del 1 gennaio in giro per le città italiane è tutt’altro che allegra: strade deserte, cocci di bottiglia, l’impressione di una festa già finita. Iniziare l’anno con grandi festeggiamenti che devono essere gioiosi a tutti i costi apre pericolosamente la strada alla disillusione precoce: se il Capodanno non è all’altezza delle aspettative (ed è ben difficile che lo sia perché – come insegna Leopardi – le aspettative sono sempre smisurate) il buon augurio per l’anno nuovo parte già un po’ compromesso. Pensando per contrasto alla sobrietà di Rosh Ha-Shanà si intuisce perché la tradizione ebraica ha voluto che il suo Capodanno non fosse un giorno di sola gioia, ma anche di meditazione con l’inizio dei giorni penitenziali: si comincia l’anno non con l’assillo della gioia a tutti i costi ma con l’assunzione di responsabilità per il passato e l’impegno per il futuro: se l’anno che sta iniziando sarà più o meno buono dipenderà anche da noi.
È interessante notare che da qualche tempo in Europa l’anno civile inizia per molti (istituzioni, scuole, centri culturali) con i preparativi in vista della Giornata della Memoria: anche in questo caso una buona occasione (anche se non sempre colta adeguatamente) per riflettere sulle responsabilità dei propri Paesi e per assumersi l’impegno di forgiare un futuro migliore. La coincidenza esatta tra il Capodanno civile e il digiuno del 10 di Tevet, durante il quale ricordiamo gli ebrei uccisi nella Shoah, si verifica solo ogni 19 anni, ma l’inizio del nuovo anno può comunque costituire per tutti (compresi noi ebrei in quanti cittadini italiani ed europei) una buona occasione per una riflessione sul passato e per un’assunzione di responsabilità circa il futuro del nostro Paese e del nostro continente. In questa luce anche i festeggiamenti finiti troppo presto potrebbero apparire meno deprimenti.
Anna Segre, insegnante
(2 gennaio 2015)